Tutta la disperazione in un abbraccio

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Il mare che inghiotte senza pietà- di Claudia Izzo-

A volte al mare, nello splendido mare delle nostre coste, mi spingo in profondità per vedere se sono capace di toccare la sabbia, come da ragazza,  fare dieci capriole di fila. Un modo per vedere se c’è ancora fiato e agilità.

E poi penso che per chi non sa neanche nuotare, pochi metri sono tanti, figuriamoci 60. E’ questa la profondità  a cui è stato rinvenuto un relitto con i suoi cadaveri. Una storia ben nota che sempre si ripete: un barcone in panne, l’agitazione dei migranti alla vista della Guardia Costiera fino al ribaltamento dell’imbarcazione.

22 i superstiti 13 i morti.

Inghiottiti dal mare, come tanti altri. A sei miglia a Sud da Lampedusa. E’ una storia del 7 ottobre scorso, ma è una storia di sempre, una storia a cui la Storia ci sta abituando.

E’ stato un robot sottomarino per la perlustrazione dei fondali, comandato dalla Guardia Costiera,a dare una nitida fotografia della situazione. Corpi che fluttuano nelle acque, come sospesi nell’etere, rigonfi di quella stessa acqua che avrebbe dovuto portarli in salvo, acqua che ricorda il nostro primo habitat che sa diventare da madre, matrigna.

Tra i cadaveri, un neonato abbracciato alla sua mamma. Uno degli infiniti innocenti vittima di un mondo senza pietà. Quell’abbraccio sarebbe dovuto essere un modo per proteggere una piccola anima, tanto stretto da restare immortalato per sempre.

Una scena agghiacciante. Un abbraccio eterno. Poteva essere il mio, il vostro, quello di tutte le mamme del mondo. Gesto di protezione assoluta. Nulla scalda più di un abbraccio e questo è destinato a restare nella mente e nelle coscienze.

Se una madre non può vivere la sua maternità, se ai figli è negata la vita, siano essi di qualunque razza, religione, ideologia, l’umanità è già nel baratro.

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