I giocatori di carte, il barbiere, il pescivendolo, le lavandaie, le piante apotropaiche nel Presepe napoletano

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-di Giuseppe Esposito-

Una figura non più così frequente nei presepi di oggi è la quarantatreesima che era chiamata Maria ‘a purpetta. Essa gravita all’interno dell’osteria ed era in pratica un’avvelenatrice. Preparava infatti polpette avvelenate destinate ai mariti infedeli. Essa mescola, così come si usava nella cucina napoletana, carne tritata con semi, noci, pinoli. Cioè utilizza per i suoi preparati punitivi simboli del cibo dei vivi, quali la carne e quelli che sono cibo per i morti, cioè i semi e la frutta secca. Quelle polpette rappresentano dunque la possibilità di scambio e di incontro tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Incontro che, secondo, la credenza popolare poteva avvenire nei giorni compresi tra il due novembre ed il 17 gennaio. In tale periodo, si diceva, i morti potevano circolare liberamente sulla terra e, dunque, potevano interagire coi vivi. La porta tra il regno dell’oltretomba ed il mondo dei viventi, in quel periodo restava aperta.

Ma una figura ben più importante che appartiene sempre all’ambito dell’osteria è la quarantaquattresima, cioè quella dei giocatori di carte. I loro nomi sono Zì Vicienzo e Zì Pascale. A questo punto è opportuno ricordare come, un tempo, i napoletani attribuivano al Carnevale il nome di Vincenzo. Intorno ai falò che venivano accesi per le strade, la sera del 17 gennaio, festa di Sant’Antonio Abate, si ballava, si beveva e nell’aria si diffondevano grida,  schiamzzi e strane nenie all’indirizzo di Carnevale, il cui periodo prendeva inizio quel giorno. Una delle più comuni era la seguente:

Carnevale se chiammava Vicienzo, teneva ‘e palle d’oro e ‘o pesce ‘argiento, ih! E chi s’’o chiagne s’’o putesse chiagnere ‘a mo’ a cient’anne, ih! Gioia soja! Chillo mo’ more ‘e collera, mo’ s’’o portano ‘e prievete, chillo è muorto!

Cioè al Carnevale si dava il nome di Vincenzo e pertanto Zì Vicienzo rappresenta la morte, così come richiamato nella nenia funebre scherzosa su riportata. L’altro giocatore, gli si contrappone invece, poiché il suo nome, Zì Pascale richiama invece la Pasqua ossi la Resurrezione di Cristo.

Bisogna inoltre richiamare il fatto che, i due sono legati, secondo la tradizione, dal vincolo del comparaggio ed a Napoli quando si è compari, si diceva, un tempo che si è Sangiuvanne, ossia San Giovanni. I due rappresentano pertanto i due San Giovanni della chiesa cristiana, cioè il Battista la cui ricorrenza cade il 24 giugno e l’Evangelista la cui ricorrenza cade invece il 24 dicembre. Date che ci dicono che i due giocatori rappresentano anche i due principali solstizi dell’anno quello d’inverno, il 24 dicembre e quello estivo il 24 giugno. Ma anche per la chiesa essi rappresentano l’inizio e la fine della Quaresima, cioè il periodo di penitenza che precede il passaggio del Cristo, dalla morte alla resurrezione.

Inoltre anche il fatto che essi siano rappresentati intenti al gioco delle carte non è casuale. Le carte rappresentano infatti l’imprevedibilità della sorte, al modo stesso in cui il valore di una carta estratta dal mazzo non è prevedibile.

Il quarantaseiesimo elemento del nostro presepe è il barbiere. In esso ci imbattiamo a poca distanza dalla taverna. Esso, al pari del macellaio ha una valenza negativa, demoniaca. Esso allude ad un periodo di profonda alterazione degli equilibri ed indirettamente alla inversione dei poli magnetici. Fenomeno di portata disastrosa, avvenuta l’ultima volta 780.000 anni fa e che negli ultimi 650 milioni di anni si è presentato ciclicamente ogni 300.000 anni. Tale fenomeno porterebbe all’estinzione della vita così come oggi la conosciamo, ma è tuttavia un evento ineluttabile legato alla meccanica celeste.

Del resto, anche se lentamente, lo spostamento dei poli magnetici è già in atto anche se molto lentamente. Infatti alle coordinate di Roma, la declinazione magnetica che sarebbe poi l’angolo formato tra l’asse terrestre e l’asse magnetico, ha raggiunto ad oggi il valore di 2° 37’. Come dicevamo la sua variazione è assai lenta, ma nulla ci garantisce che resti tale. Una sua eventuale accelerazione è ovviamente in mente Dei.

Sempre in prossimità della taverna incontriamo il pescivendolo, legato a quelle tavole imbandite che lì si osservano. Il pescivendolo è in pratica l’alternativa al pescatore. Nei mercati popolari di Napoli i venditori imbonivano i passanti al grido: Tengo ‘o pesce, ‘o pesce è vivo!

Grido che potrebbe indirci a pensare ad una allusione sessuale e ad avallarla potrebbe intervenire anche una interpretazione freudiana, per la quale il pesce è senza dubbio un simbolo fallico. Ma più probabilmente il riferimento più azzeccati è quello alla smorfia napoletana in cui al fallo si assegna il numero 29 e la definizione di “ ‘o pate d’’e criature”. Si accenna cioè non al piacere del sesso ma al comandamento divino del “Crescete e moltiplicatevi.” Ma il senso del pescivendolo va anche oltre ciò e si riferisce non solo alla riproduzione fisica, ma anche alla rinascita spirituale. Del resto il pesce è un animale a sangue freddo che, nell’immaginario, non si lascia travolgere dalle passioni e vive nell’acqua, che come si sa è l’elemento che lava via le impurità ed è per questo parte della liturgia del battesimo.

Ma torniamo verso la grotta della Natività, là dove troviamo altre due figure importanti, le due lavandaie che hanno fatto da levatrici per la Madonna. Esse lavano il Bambino ed i panni del parto. Poi lo avvolgono nelle fasce, quelle fasce che stringono la vita del Signore, quella vita che spezzerà le catene della morte e che renderà coloro, che crederanno in Cristo, incorruttibili e liberi da quelle catene. Inoltre le due levatrici che hanno assistito la Madonna nel parto sono anche testimoni della sua verginità. Nei dintorni della grotta si aggira una terza lavandaia con un piede di capra. Essa è l’incarnazione del diavolo che è venuto a sincerarsi da vicino della nascita del Redentore e del parto di Maria. Già al momento dell’Annunciazione egli, sotto quelle stesse spoglie, si era presentato alla Vergine cercando di distoglierla dall’accogliere la rivelazione, tentandola con la promessa di un bellissimo e giovane sposo. Ma Maria, per pudicizia, aveva gli occhi rivolti a terra e si avvide del piede di capra, comprendendo chi sotto quelle spoglie si nascondeva. Il demonio allora, vistosi scoperto si dileguò.

L’ultimo elemento di cui ci occuperemo sono le piante apotropaiche. Esse servono ad isolare gli elementi negativi presenti sul presepe ed a proteggere dalle loro influenze demoniache. La tradizione napoletana in proposito è estremamente precisa. Il presepe non va mai posto in camera da letto e va schermato con una serie di 5 o sette erbe particolari, da scegliere tra il muschio, il mirto, la mortella, il rosmarino, il pungitopo, il timo, e, soprattutto, le spine di cardella.

Come si vede queste sono anche le erbe usate per lungo tempo dagli speziali e nella medicina popolare di un tempo. Ultimo accorgimento da mettere in atto è quello di incensare il presepe appena terminato, ossia effondere sullo scoglio i fumi di incenso.

 

 

 

 

 

 

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