Ci sono voluti 11 mesi e quaranta mani per realizzare Diva, la struttura a forma di vagina che l’artista brasiliana Juliana Notari, ha ideato ed ha scelto di realizzare nell’Usina de Arte, un museo a cielo aperto sorto nel comune di Agua Petra, in Brasile, sui terreni di un ex zuccherificio.
La scultura è un’imponente opera di land art di colore rosso sangue, distesa sul crinale boschivo di una collina. E’ modellata in un incavo di 33 metri per 16, profondo 6, utilizzando cemento armato e resina. La forma e il colore evocano una ferita o una vagina.
E’ del 2006 la performance nella Galeria Vermelho di San Paolo in cui, circondata da numerosi spettatori, si arma di martello e scalpello da roccia e, lavorando alacremente, apre alcune crepe su un muro. Poi prosegue schizzando sangue di bue e inserendovi uno speculum in acciaio inossidabile.
Diva, postata dalla Notari su Instagram e su Facebook , oltre a giudizi positivi, ha scatenato numerose reazioni e critiche feroci: dall’utilizzo di operai afro-brasiliani per la sua realizzazione, all’impatto sul paesaggio. Non si contano gli insulti sessisti. Pare che l’opera non sia piaciuta neppure ai seguaci del Presidente del Brasile Jair Bolsonaro che vi hanno letto una provocazione nei confronti del governo ultraconservatore e delle sue prese di posizione maschiliste.
Al di là delle diverse interpretazioni di quest’opera d’arte contemporanea, di forte impatto per i suoi fruitori, riportiamo le parole di chi l’ha realizzata e il messaggio cha ha inteso affidarle.