-di Claudia Izzo-
Capita che si decida di prestarsi ad una intervista perchè si ha qualcosa da dire di importante che può servire da monito a tutti. E’ questo il caso del Paziente n. 2 in Campania, che chiameremo così per rispetto a chi il Covid 19 l’ha vissuto sulla sua pelle. Anche la foto utilizzata è di pura fantasia. Il Paziente 2 è la seconda persona che ha contratto il virus sul nostro territorio. Spesso si addita, si ghettizza chi nella situazione Covid-19 si è trovato dentro fino al collo ma bisognerebbe ricordare bene che chi ha contratto questo virus non è un untore e chiunque può ritrovarsi in una situazione di sconforto, paura, dolore, solitudine estrema. Questi sono i momenti in cui anche una spesa portata innanzi all’uscio di casa diviene un miraggio per chi è solo e lotta.
Quando è iniziato tutto?
Il secondo tampone è stato fatto solo il 1 Aprile, un mese dopo, quando ho visto sotto casa arrivare il camper bianco con scritte blu fosforescente ASL Napoli. Gli addetti sono usciti dal camper bardati come due astronauti, come la situazione impone ed il tampone è stato effettuato sul pianerottolo del palazzo. Dopo quattro, cinque giorni, ho ricevuto la telefonata in cui mi è stato detto che mi ero negativizzato. Il terzo tampone effettuato è poi risultato non leggibile, quindi l’ho dovuto rifare. Negativo. Due tamponi negativi ravvicinati. Ne ho dovuto fare altri due, per un totale di cinque tamponi.C’è da dire, in tutto questo che anche la mia compagna, con cui vivo sotto lo stesso tetto, è risultata positiva con un iter più complicato, con maggiori difficoltà respiratorie, ma questa è un’altra storia che racconterà lei, dal suo punto di vista.
Vivere la quarantena isolato e con una compagna da evitare in casa, anch’ella affetta dal virus, deve essere stata una situazione drammatica…
Che ricordo ha di tutto questo periodo da un punto di vista emotivo?
Sono stato molto preoccupato per la mia compagna, più che per me, sentivo tutto intorno di persone che si aggravavano, morivano. A questo si aggiungeva la tristezza per non poter vedere mia figlia che vive con la madre e che in quel periodo ha compiuto undici anni, festeggiati insieme con videochiamate. Ero preoccupato anche per lei, per questo mondo che le si trasformava sotto gli occhi. 72 giorni senza poterla abbracciare…davvero dura. A tutto ciò si aggiungeva la difficoltà da un punto di vista economico, due mesi senza guadagnare. Intanto sentivo dai TG dei treni che scendevano dal Nord, con altissimo rischio di contagio, una vera follia. Esiste a riguardo un principio giuridico di precauzione, lo Stato avrebbe dovuto gestire con responsabilità la situazione.
Qual è la prima cosa che ha fatto quando ha saputo che poteva uscire e che l’incubo era finito?
Sono sceso giù a buttare l’immondizia. Dopo 62 giorni di paura e di preoccupazioni. Lo spazio aperto in un primo momento mi ha creato una strana sensazione. Mi sono reso conto che si ha difficoltà a credere quanto sia facile trovarsi in situazioni da incubo ed alla fine non capisci neanche come ti ci sei trovato. Il Covid-19 è una roulette con altissime possibilità di contagio. Ovviamente sono stato fortunatissimo già a poter stare a casa mia in questo periodo rispetto a chi è stato intubato in un letto d’ospedale, o rispetto a chi ha visto andar via i propri cari che non hanno fatto più ritorno.
Cosa pensa oggi?
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