Mamma Africa, diario di viaggio in Senegal

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Taccuino di viaggio —

di Valeria Saggese

Dakar è una città che colpisce subito per il suo brulicare di colori e per il suo viver lento.

Al mercato vicino al porto scopro che si può anche barattare, così do il mio zaino in cambio di una borsa stupenda e compro anche alcuni batik lavorati a mano. È risaputo che l’artigianato del Senegal è uno dei più belli d’Africa. Da qui, partono i battelli che portano all’ Isola di Gorée. Circa venti minuti di traversata per giungere su un’isoletta con case in stile coloniale dai colori pastello.

Quest’isola dalle spiagge incontaminate, proclamata dall’Unesco patrimonio dell’umanità racchiude in sé la sofferenza di uno dei periodi più brutti della storia. La maison des eslaves. Qui venivano rinchiusi gli schiavi comprati nell’entroterra e destinati oltre oceano. La traversata di rientro a Dakar è un cumulo di emozioni tra le più svariate.

Sono  diretta a Saly Portudal, sulla petite côte, una località di mare a sud di Dakar. Durante il tragitto, intorno a me si apre la Savana con distese di baoab.

A pochi metri dal confine della spiaggia dell’hotel, tra le piroghe colorate dei pescatori, spuntano davanti ai miei occhi  capanne e prefabbricati, una scuola e tanti bambini. Faccio amicizia con alcuni ragazzi, una maestra e una “vecchia matrona”. Mi dicono che ha più di 90 anni ed punto di riferimento per tutti gli abitanti del villaggio. La saluto con rispetto e inaspettatamente mi cede i suoi infradito fucsia. Ero scalza e il mio viso manifestava una certa sofferenza perché intanto la sabbia  era diventata terra polverosa ed emanava un calore infernale. Quanta ospitalità, mi sembra un film! Passeggiando tra capre e cavalli legati ai pali e l’odore quasi stordente del pesce messo ad essiccare, scopro la piccola bottega di un artigiano. Realizza delle maschere bellissime.A chiunque si trovi in Senegal, consiglio di visitare il Lago Retba, detto Lago Rosa per il colore che assume. Si trova a 20 km a nord di Dakar, sulla grande cote, ma io, trovandomi a Saly Portudal, dovrò affrontarne circa 80. E sapete cosa significa affrontare tutti questi kilometri in Senegal? Sembra che non si arrivi mai. Danka Danka,(piano piano) dicono gli abitanti in Wolof, la loro lingua ed è proprio a passo di elefante che va il camion 6×6 che mi conduce verso il Lago Rosa.

Quando qualcuno chiede alla guida il perché di una così dilatata lentezza nel fare un pò tutte le cose, la risposta è semplice, “Voi Europei avete l’orologio … Noi abbiamo il Tempo”.

La vista di questa grande laguna a pochi km dall’oceano lascia tutti senza fiato. E’ rosa davvero!

Lasciato il camion, salgo su una jeep 4×4. Sono circondata dal deserto di dune: Il deserto del Sahara. Qui fino al 2008 si concludeva la Parigi-Dakar. La sabbia è soffice come ovatta, zucchero filato, come nuvole e dopo una grossa duna, all’ improvviso, si apre su un’ enorme spiaggia deserta, dove le onde che battono sulla battigia delineano il confine tra me e l’universo.

La Savana ha il suo fascino con il suo clima secco di marzo, ma la mia curiosità di visitare il sud del paese è più forte. Quindi, lascio a malincuore quel pezzo d’Africa e con un volo della Air Senegal, atterro in venticinque minuti all’aeroporto di Cap Skirring.

Sono in Casamance,  una regione del Senegal meridionale, che sorge sul fiume Casamance. L’aeroporto di Cap Skirring è poco più di una capanna e le valigie imbarcate vengono “buttate” direttamente sulla sabbia, all’interno di un nastro, messo a mo’ di perimetro affinché si possano prendere. Dopo aver riconosciuto il mio bagaglio che da rosso è diventato marrone, salgo anche qui su un camion 6×6 e  mi dirigo verso la nuova sistemazione.

Cap Skirring, ultimo avamposto al sud del Senegal a pochissimi km dalla Guinea Bissau, è nota per le sue splendide spiagge, ma qui a differenza della zona di Dakar, il clima è più caldo umido e soggetto a forti sbalzi termici tra il giorno e la notte. Anche la vegetazione è diversa. Questa è una zona pluviale: non vedo più il deserto e i baobab, ma distese enormi di palmeti.

Come per ogni viaggio significativo porto a casa qualcosa con me. In questo caso ho dentro i colori, i sorrisi e la lealtà della gente; i panorami mozzafiato della Savana, i tramonti unici e il mal d’Africa che si acuisce ogni volta che  ritorno in questo continente così antico, così terreno, così materno.

 

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