Il Presepe napoletano: la simbologia dell’acqua. Il fiume, il pozzo, la fontana

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-di Giuseppe Esposito-

Tra gli elementi tipici e più suggestivi presenti sullo scoglio del presepe napoletano vi è sicuramente l’acqua che è l’elemento essenziale di tre figure caratteristiche: il fiume ed il ponte che lo scavalca, il pozzo e la fontana.

Il fiume appare spesso scorrere tra alte ripe rocciose e sembra, tale rappresentazione, ispirata a certe vedute romantiche di paesaggi quali si possono ritrovare, ad esempio, nella valle dei Mulini, presso Amalfi. Per aumentarne il fascino spesso vi si pone nella sua parte finale una cascata.

Per rappresentare le acque del fiume, il più delle volte si ricorre alla carta stagnola, quella che avvolge normalmente le tavolette di cioccolata. Ma vi è chi preferisce aumentarne la verosimiglianza e fa scorrere nell’alveo dell’acqua vera. Oggi per ottenere questo effetto si può ricorrere a delle pompe elettriche miniaturizzate e nascoste nel ventre della montagna. Ma un tempo in cui tali piccole macchine non erano disponibili ci si ingegnava nei modi più diversi. Uno è quello dell’enteroclisma utilizzato da Luca Cupiello nella famosa commedia di Eduardo.

Vi è chi si chiede il motivo della presenza di un fiume sul presepe dal momento che Napoli è una città di mare. Ma la cosa non deve apparire una bizzarria poiché le terre campane sono sempre state ricche di corsi d’acqua. Persino Napoli aveva, un tempo, il suo fiume, il Sebeto, oggi scomparso. Il suo nome derivava dal greco Sepeitohs, che significa andar con impeto, riferito evidentemente alla velocità delle sue acque. Nel corso dei secoli il fiume si andò riducendo fino a scomparire del tutto. Oggi resta in memoria dell’antico corso d’acqua solo il ponte della Maddalena, costruito per superare il fiume che sbarrava la strada verso la Reggia di Portici.

Come si accennava, più sopra il fiume rientra nella simbologia dell’acqua e rappresenta, tra l’altro, il confine tra il ciclo della vita. A partire dalla sua origine nascosta nel ventre della montagna, alla morte che normalmente avviene al momento di sfociare nel mare. Molti per rendere più caratteristica la presenza del fiume sul presepe inseriscono nella sua parte terminale una cascata che si versa nel laghetto posto sul ripiano più basso del presepe. Ma il fiume rappresenta anche il senso del limite, la separazione tra il mondo dei vivi quello dei morti. Le anime devono essere traghettate attraverso il fiume per raggiungere il pro posto nei regni. Ricordate il Caròn dimonio dagli occhi di bragia che trasportava le anime attraverso l’Acheronte, nell’Inferno dantesco?

Vi sono però nella simbologia, anche le acque lustrali, quelle nelle quali ci si immerge e se ne esce purificati e liberati dalle passioni. Esse alludono anche al liquido amniotico che avvolge il bambino nel ventre materno e quindi, alla nascita. Un ruolo irrinunciabile l’acqua lo riveste anche nel rito battesimale ed il primo battistero di cui ci parlano le scritture fu quel fiume Giordano in cui Gesù fu battezzato. Ma si diceva prima che spesso il fiume è rappresentato come impetuoso con le acque che attraversano una stretta gola tra due ripe rocciose alte e scoscese. In quel caso esso assume il significato di pericolo e quella gola è il simbolo del rito di passaggio dal buio alla luce della conoscenza. Simbolo dello sforzo che occorre fare per affrancarsi dalle tenebre.

Ma il fiume, visto come simbolo del pericolo ci rimanda alla seconda figura legata alla simbologia dell’acqua, il ponte. L’impeto delle acque del fiume o la loro profondità impedisce all’uomo il passaggio da una riva all’altra senza l’ausilio di un ponte. Sul nostro presepe il ponte rappresenta dunque l’idea del passaggio presente nei rituali di molte religioni. Il passaggio associato all’idea del pericolo è presente nei rituali iniziatici o funerari di diverse mitologie.

Nella visione di San Paolo compare un ponte stretto, come un filo di capello, ed è quello che porta in paradiso. Coloro che non possono attraversare saranno precipitati nelle fiamme dell’Inferno. Ma un ponte compare, ad esempio,  anche nella mitologia iraniana ed è il ponte di Civat che i defunti devono attraversare per raggiungere l’oltretomba. Ma questo ponte si presenta largo nove lance per i giusti, mentre per coloro che hanno trascorso una vita malvagia esso si presenta come il filo di un rasoio. Sotto di esso vi è l’abisso infernale, pronto ad accogliere tutti coloro che non riescono ad attraversarlo.

Nelle varie realizzazioni del presepe, gli artefici pongono sempre molta cura nel costruire il ponte e ciò sta ad indicare la sua importanza. Le forme adottate sono le più varie, si va dal ponte di funi ed assi tra due rive rocciose ed impervie, a quello classico dell’architettura romana ad arco e con una sola campata. Tuttavia, su quel ponte che è via di passaggio obbligata è possibile talvolta fare brutti incontri. In alcuni racconti legati al folclore del diavolo si narra di lui che si presenta ai viandanti sotto l’aspetto di un cane, pronto ad impedire il transito e fare in modo che il passante cada nell’abisso sottostante.

La successiva figura che occupa un posto importante nella simbologia del nostro presepe ed è legata all’acqua, come le ultime che abbiamo testé viste, è il pozzo.

Il pozzo è un altro degli elementi caratteristici che compaiono sul presepe napoletano. Presepe conosciuto ormai in tutti il mondo, al punto che non v’è viaggiatore che si trovi a passare per Napoli e che sappia rinunciare ad una visita a San Gregorio Armeno, la strada dei presepi. Ma per quale motivo il nostro presepe è così famoso nel mondo? Per labilità degli artigiani di San Gregorio Armeno, direbbe qualcuno. Ma la risposta pur se esatta non è del tutto esauriente. Infatti, ciò che conferisce fascino al nostro presepe è il complesso simbolismo della tradizione. Ed il pozzo, come il fiume e tutte le precedenti figure,

rientra a pieno titolo in quella tradizione fatta di fede e di antiche superstizioni, emergenti dal passato greco e  romano di questa città in cui esso non è mai passato del tutto, ma lo si può osservare nelle tracce che si leggono sugli edifici e nelle vie, nei vicoli e nelle piazze che ancora rappresentano il tessuto di una delle città più antiche del mondo. Si è detto che il presepe riproduce un a Napoli d’antan, la città nell’aspetto che essa aveva nel corso del XVIII secolo e si sa che a quei tempi per approvvigionarsi d’acqua occorreva armarsi di secchio e calarlo in un pozzo. L’acqua corrente nelle case era ancora di là da venire. Potreste quindi pensare che questa sia la ragione per cui il pozzo compare su presepe e vi occupi un posto importante. In realtà il pozzo compare nella nostra rappresentazione perché esso è un simbolo potente che attiene, sia alla religione che alla superstizione. Il pozzo è in primis il tramite, il collegamento tra il mondo di sopra ed il mondo degli inferi. Spesso il pozzo è accostato alla Madonna ed in Campania non sono poche le chiese intitolate alla Madonna del pozzo. Tuttavia, il suo sprofondare nelle viscere della terra, ha fatto sorgere intorno ad esso non poche leggende con valenza negativa.

Ad esempio, in passato, nessuno avrebbe mai osato attingere acqua dal pozzo nelle sere delle festività natalizie, poiché si diceva che in quell’acqua si celassero spiriti diabolici che potevano impossessarsi di colui che l’avesse bevuta. Oppure che, si pensava che, nei riflessi di quell’acqua, apparissero i volti di coloro che sarebbero morti nel corso dell’anno a venire. Dunque il pozzo nell’immaginario popolare è stato visto  come tramite con l’oltretomba, posto dalla fantasia nel sottosuolo.

Persino Dante ha dato all’Inferno la forma di una voragine che raggiunge il centro della terra e lì in fondo, conficcato in un pozzo vi è Satana. Nelle campagne dell’avellinese v’era fino a qualche tempo fa la leggenda di Maria ‘e Manilonga. Un essere infernale che era pronta a ghermire quei ragazzi che, nei giorni delle feste di Natale, si fossero avvicinati al pozzo. Una sorta di contraltare alla Madonna, questa sinistra figura. Secondo Umberto Galimberti, nel suo “I miti del nostro tempo”, in Maria ‘a Manilonga si avvertono echi del mito di Medea.  L’abisso della solitudine può trasformare la madre in matrigna, avente potere di vita ed anche di morte su quei figli che non si confanno al suo desiderio.

Chiudiamo però con un richiamo meno cupo al nostro pozzo e ritorniamo a Gesù che chiede alla Samaritana un po’ dell’acqua ch’ella aveva appena attinto dal pozzo. In cambio il Signore promette, a lei ed all’umanità, tutta l’acqua della Verità, il viatico per la vita eterna.

Infine l’altra figura irrinunciabile del presepe è la fontana. Essa è un’altra rappresentazione magica che ha larga eco nella tradizione popolare.  La fontana è il luogo tipico delle apparizioni e degli incontri amorosi.

Secondo i Vangeli apocrifi, fu presso una fontana che Maria ebbe l’Annunciazione. In quello di Tommaso si legge infatti: … il giorno dopo, mentre Maria stava presso la fontana a riempire la brocca, le apparve un angelo di Signore e le disse “Beta tu sei, Maria, perché nel tuo ventre hai preparato un’abitazione al Signore. Ma tracce di questa antiche tradizioni si riscontravano ancora persino nelle canzoni napoletane. Ad esempio in “Funtana all’ombra” di E. A. Mario, presso una fontana la voce narrante ci riporta dell’incontro con l’amore che ebbe sua nonna, ed in seguito anch’ella.

‘Sta funtanella

Ca mena ‘a tantu tiempo ll’acqua chiara,

ha fatto ‘a cchiù ‘e ‘nu seculo ‘a cummara.

Piccerenella

Venette ‘a nonna a vevere e nce steva

Nu figliulillo  all’ombra ca ‘a vedeva.

 

E all’ombra tutte e duie

Sccumminciaieno a se parlà cu ‘o vuie.

Po’ ogbuno ‘e’lloro se parlaie cu ‘o tu.

e sempe cumpiacente

sti fronne alleramente

facevano ciù ciù.

 

Po’ nce venette

Pur’io ‘na vota ca stevo arze ‘e sete

E ca cercavo ‘e vie fresche e qujete.

E te vedette

E t’accustaste e maccustaie pu’io

E ‘o core tuio cercava ‘o core mio…

Dunque tutto riporta alle tradizioni, alle credenza, alla fede del presepe napoletano che esercita da secoli un fascino che non si trova in nessuna altra  tradizione, forse perché unica è la città che lo ha adottato a sintesi del proprio sentire.

 

 

 

 

 

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