Sarah Kane: l’inconsapevole Cassandra

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di Maria Beatrice Russo-

Per favore non vi dimenticate di me.

 Con queste parole termina lo spettacolo 4.48 Psychosis di Sarah Kane, e a venticinque anni dalla sua morte non è stata dimenticata affatto.

Anzi, la sua presenza vive tra le pagine di I’m much fucking angrier than you think. Il teatro di Sarah Kane vent’anni dopo (UniorPress) e duramente colpisce il pubblico presente all’incontro Chiedimi chi era Sarah Kane nell’ambito della dodicesima edizione di SalernoLetteratura il 18 giugno.

Il volume presentato è frutto dell’esito di un convegno internazionale tenutosi a Napoli nel 2019 presso il Teatro Mercadante di Napoli (appunto vent’anni dopo la morte di Kane).

Grazie alla collaborazione di docenti, giornalisti e artisti, l’opera contribuisce a colmare il vuoto della ricerca italiana sul teatro di Sarah Kane concentrandosi su due generali prospettive di ricerca: la soggettività e la rappresentazione.

Il libro, rivela il suo curatore Roberto D’Avascio (docente di Letteratura Inglese presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e di Storia dello Spettacolo Teatrale e Musicale presso l’Università degli Studi di Salerno), è un tentativo di sollevare un problema che la stessa Sarah Kane ha posto alla fine dello scorso millennio nel suo teatro di forte violenza visiva, in cui è però presente un anelito di bisogno d’amore.

Un teatro in grado di  attraversare le paure generazionali e disvelarle come universali, come prodrome delle ansie e degli orrori del nuovo millennio. Kane, l’inconsapevole Cassandra, anticipa ciò che sarà, ma che già iniziava a intravedere nella filigrana della sua esistenza.

La genesi del volume inizia con l’incontro con l’opera di Sarah Kane portata in scena da Monica Nappo al Teatro Nuovo di Napoli, prima interprete italiana di 4.48 Psychosis.

Il professor D’Avascio rivela al pubblico, presente nel salone di Palazzo Fruscione, che per lui quella rappresentazione ha avuto un valore epifanico che lo porterà a delineare poi la sua linea di ricerca- non a caso Sarah Kane diventa la protagonista della sua tesi di laurea-  e a sviluppare quella che definisce un “ossessione”. L’impatto della messinscena è evidente, è la prima rappresentazione europea dopo quella inglese e Napoli diventa l’epicentro della scossa data da Kane.

L’evento letterario non è una semplice presentazione di un volume frutto di un arduo e complesso lavoro di ricerca: grazie alla delicata, rispettosa ed empatica conduzione di Marianna Esposito (docente di Global Gender Studies presso l’Università degli Studi di Salerno) e alla presenza di Monica Nappo l’avvicinamento a Sarah Kane diventa quasi tangibile.

La generosità di Monica Nappo nel vivere sulla sua pelle la protagonista di 4.48, nel farsi attraversare dall’autrice stessa, è parte fondante di questo incontro. Monica Nappo al tempo della rappresentazione aveva l’età in cui Sarah Kane è morta: narra ancora più intimamente un racconto sì politico, ma intriso di motivi biografici come 4.48, fino a incarnarne un’esperienza catartica. Ogni sera “vive” il suicidio in diretta e nota come l’opera travalichi le generazioni, poiché ognuna di queste sente la portata di quel gesto con il proprio peso emotivo.

Kane per ragioni di età e per motivazioni personali affronta la vita dolorosamente, offrendosi però come agnello sacrificale: attraverso di lei ognuno di noi può vivere il proprio dolore. Il suo teatro profetizza la fine della civiltà occidentale raccontando il grido di postumanità del tempo.

È incompresa, bollata come una squilibrata, rompe la forma del dramma realista ma, ancor più gravi e scandalosi, sono i contenuti che porta in scena. Racconta alcuni degli episodi più bui della storia,  ferite ancora aperte, come i campi di concentramento nell’ex Jugoslavia. Sceglie di descrivere vividamente la violenza, per far in modo che lo spettatore sia talmente saturo da provare vergogna e non essere più in grado di replicare tali gesti efferati.

La critica difficilmente ha saputo collocare Sarah Kane, si è infatti divisa nella prospettiva di iper-realismo sociale dell’in-yer-face theatre, nella ricerca di forme di un classicismo che riprende le origini del teatro, e ancora  nell’adesione alla nuova vulgata post-drammatica.

Se la difficoltà nel comprendere a pieno la sua poetica è ancora oggi viva, non si può però non sentire come le sue parole ci penetrino attraverso la pelle, come ci provochino un brivido, un dolce e doloroso risveglio.

Questa è l’esperienza che si è vissuta nell’ascoltare i brani letti da Monica Nappo in questa preziosa occasione offerta da Salerno Letteratura (scegliendo di tradurre all’impronta dall’inglese per non perdere la forza delle parole originali di Kane). Le letture, la commozione che è deriva mostrano in maniera evidente come il teatro di Sarah Kane è ancora oggi necessario.

 

 

 

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