Contro lo spopolamento dei piccoli comuni, lo “slow tourism”

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Territorio, Strategie e Sviluppo- di Maria Gabriella Alfano-

Sono 5488 i comuni italiani che contano meno di 5000 abitanti. Dislocati lungo l’appennino e poco interessati dalle trasformazioni urbanistiche del dopoguerra, raccontano la storia e la ricchezza culturale del Paese. In Campania sono 338 e rappresentano il 61,45% del totale regionale.

Nei piccoli comuni sono rimasti solo i vecchi. I giovani sono andati altrove, alla ricerca di opportunità di lavoro. Negli edifici sempre più degradati, non si formano più nuove famiglie, non ci sono più scuole perché mancano gli alunni, i negozi hanno chiuso i battenti. Un abbandono che si percepisce osservando le strade deserte, le finestre chiuse, nell’assenza di qualsiasi suono, a parte il rumore dei propri passi sul selciato.

D‘altra parte, come si può vivere bene in un luogo se la scuola, la farmacia, il supermercato, il bancomat sono a chilometri di distanza?

Mancanza di attività economiche, inefficienza dei collegamenti con altri comuni del territorio, inadeguatezza dei servizi, queste le principali cause dello spopolamento.

Come invertire questa tendenza?

Possiamo contrastare l’abbandono solo creando occupazione. Nuove opportunità di lavoro che dovrebbero capitalizzare le risorse locali come artigianato, agricoltura, tradizioni, cultura materiale, immaginando innovative forme di turismo.

In forte crescita è -ad esempio- lo slow tourism che risponde alla domanda di vacanze rilassanti che ha un target di tutto rilievo, soprattutto all’estero. Soggiorni in luoghi in cui la l’ambiente è pulito, in cui le rondini volteggiano nel cielo, in cui il tempo è scandito dalle campane della chiesa e la sera ci si ritrova per chiacchierare e per giocare a carte. Luoghi in cui ritrovare il benessere psico-fisico scoprendo luoghi, attività, sapori antichi, accolti dagli abitanti, i padroni di casa. Un turismo in cui la gente del luogo è protagonista e in cui il turista si sente un ospite piuttosto che un cliente.

Un ruolo importante per la ripresa economica dei piccoli borghi può giocarlo anche il turismo rurale, attraverso il quale coinvolgere i visitatori nella conoscenza degli elementi della tradizione contadina: le passeggiate lungo in sentieri, i canti, le feste, il cibo e le altre espressioni della cultura materiale e immateriale.

In cima alle azioni da mettere in campo c’è l’accessibilità. Cento anni fa lo sviluppo di un territorio passava attraverso le infrastrutture fisiche. Oggi non servono nuove strade anche per non compromettere ulteriormente la fragilità del nostro territorio.

Nell’era dell’information technology occorre puntare sulle infrastrutture immateriali. Oggi la prima cosa che un turista chiede è se c’è la connessione internet e se c’è copertura per la telefonia cellulare.

 

La banda larga, le reti telematiche avanzate rappresentano dunque una condizione irrinunciabile e potrebbero non solo migliorare l’offerta turistica, ma favorire la nascita e lo sviluppo di attività innovative quali tele-lavoro, e-learning, e-commerce, capaci di promuovere uno sviluppo legato ai prodotti locali, di mettere in rete esperienze e attivare sinergie con altri settori ed imprese. Consentirebbero, inoltre, di creare un network per connettere risorse locali, luoghi di interesse (borghi, edifici monumentali, siti archeologici, parchi e riserve naturali, ecc.) attraverso itinerari tematici e intermodali (ciclovie, trekking, camini, birdwatching, ippovie, ecc. collegati ai luoghi ed agli eventi della tradizione, della cultura, del cibo, ecc.).

Un programma innovativo e ambizioso che può essere attuato solo attraverso forme di partecipazione e di condivisione “dal basso”, ponendo al centro le persone, finalmente consapevoli delle potenzialità del proprio territorio.

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