-di Clelia Pistillo-
Il Festival di Sanremo è volto al termine e si sa che alla fine gli italiani si dividono sempre tra i fans e i detrattori della nota competizione canora made in Italy.
Ogni anno si finisce sempre per parlare, tra le altre cose, delle donne e del loro ruolo nell’ambito di questa manifestazione ma. puntuale, arriva la delusione perché la figura femminile in questo contesto, così come in molti altri, viene sistematicamente mortificata secondo un antico canovaccio che non riusciamo proprio a lasciarci alle spalle.
Sono stati pochissimi i momenti davvero significativi e carichi di contenuti lontani da cliché e da stereotipi. Tra questi vale la pena di citare l’omaggio a Britney Spears da parte di Emma Marrone, che per la serata dei duetti ha scelto di esibirsi accanto a Francesca Michelin in una rivisitata “Baby one more time”. L’ icona del pop, come sappiamo, sta affrontando un momento drammatico della sua vita, e questo gesto di solidarietà tra donne, dal grande valore simbolico, non è passato inosservato.
Apprezzatissima anche la lettera che Achille Lauro ha consegnato ad un’immensa Loredana Bertè, investita da mille uragani nel corso della sua esistenza, porgendole delle scuse a nome di ogni uomo incapace di amare e di chiedere perdono. Questi i due momenti più veri e più toccanti.
Per il resto il festival di Sanremo si è svolto sempre nel rispetto dei tradizionali stereotipi. Ancora una volta la conduzione è stata esclusivamente maschile, e affidata ad un rodato Amadeus affiancato ogni sera da una “co-conduttrice” diversa, ad eccezione della terza serata, per la quale la scelta è caduta su Drusilla Foer, che donna non è. Si tratta di un personaggio inventato da Gianluca Gori, frutto dalla sua immaginazione. Grande la simpatia e indiscutibile la bravura dell’attore, che pur non rappresentando un simbolo di inclusione, ha toccato i nostri cuori con il suo bellissimo monologo in cui ha parlato del concetto di unicità. Un personaggio gradito quello di Drusilla Foer, ma pur sempre fittizio, che esiste solo sul palcoscenico.
Le donne non hanno bisogno di un interprete che si faccia portavoce delle loro istanze.
Evidentemente dobbiamo rassegnarci all’idea di essere così poco credibili che a salire sul palco e a parlare per noi debba essere sempre e comunque un uomo anche negli spazi a noi riservati (che sono già pochi). Tanto clamore per niente, e l’annunciata novità di quest’anno si è rivelata un bluff. Un uomo che crede di sapere interpretare la donna, che parla in sua vece e che ne prende il posto. É proprio il caso di dirlo: nulla di nuovo.