di Gennaro Saviello-
Opera: il palcoscenico della società: questo il titolo della mostra in corso al Palazzo del Governatore di Parma ( Settembre 2021 – Gennnaio 2022). Sembra un assioma e bene potrebbe esserlo per gli intenti, intrinsecamente dichiarati dal gruppo di curatori: la storica dell’arte Gloria Bianchino, lo studioso verdiano Giuseppe Martini e Margherita Palli Rota (per il progetto di allestimento scenografico). Punti fermi e riproposizione di un tema, quello della “popolarità” del Melodramma, che trova anche nei contenuti del raffinato catalogo (edito dal Comune di Parma) interessanti spunti di riflessione e di approfondimento.
Se il Melodramma è stata la forma di “spettacolo” italiana per eccellenza, ‘andare all’Opera’ o a teatro, costituì un ‘rito’ sociale fortemente connotativo, prima aristocratico, poi anche interclassista, che trovò negli scritti di Antonio Gramsci il primo, chiaro, riconoscimento dell’importante ruolo mediatico svolto, sotto il profilo socio-culturale e linguistico, nella società italiana tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento. Non è irrealistico pensare, infatti, all’immagine evocata dall’inglese Clara Novello di passaggio in Italia nel 1840: «uomini e donne di servizio che fischiettavano […] gioiosamente le arie dell’ultima opera». Una risonanza che trova in tanta Letteratura, italiana e straniera, un notevole risconto. Non ultimo, il nostro Giovanni Verga, testimone appassionato delle “influenze testuali e melodiche” che innervano anche i suoi scritti, dai romanzi giovanili ad Eva dove il protagonista, accomodandosi nelle rosse poltrone del Teatro della Pergola di Firenze coinvolge il lettore nel suo intimo pensiero: «Avevo comprato per tre sole lire un tesoro di emozioni».
In questa mostra – ricca di esposizioni pittoriche, di testimonianze documentarie ed iconografiche, di fotografie, stampe e raffinati costumi di scena – la “popolarità” è intesa «in senso qualitativo e non quantitativo»: un sottile filo rosso che annoda il percorso espositivo e lega I vespri siciliani di Francesco Hayez – la grande tela arrivata dalla Gallerie dell’Arte Moderna di Roma – all’organetto portativo del 1860, proveniente dal Museo Musicalia di Cesena. Quest’ultimo, insieme a qualche vinile dei primi anni del Novecento ci proietta non solo nell’”ultima stagione” – quella di Mascagni e di Puccini per intenderci – ma anche nell’epoca della multimedialità e della multi-modalità – di esecuzione, di ascolto e di riproduzione sonora – che ormai appartiene al mondo dell’Opera, al pari di quello del Cinema e della Televisione. Ma noi italiani siamo ancora orgogliosi di questo Patrimonio che ci rappresenta – o dovrebbe rappresentarci – tutti? É questa la domanda che nasce nella sezione Opera e protesta politica: a cominciare dal lacerto di affresco del W Verdi (proveniente dai musi civici di Torino) che costituisce l’anima di questa esposizione, ben evidente nelle parole di Giuseppe Martini: «appropriazione di una forma culturale [il Melodramma] da parte di un determinato elemento sociale [il popolo], cioè quello storicamente costituito dalle classi subalterne. Anzi, meglio: di identificazione fra quella forma culturale e quell’elemento sociale».
Quest’ultima riflessione dovrebbe valere ancora di più in quelle parti della nostra Nazione dove il “fenomeno” delle bande musicali – con i loro concerti en plein air e le trascrizioni d’opera, centoni di arie e romanze – riproponendo il “teatro all’aperto”, contribuirono tra la metà dell’Ottocento e metà del Novecento a “volgarizzare” l’aulica spettacolarizzazione degli antichi teatri e ad offrire melodie di una lingua unitaria, quella della tradizione poetica italiana. Allora? In sintesi, quello che questa mostra ci suggerisce è che il mondo dell’opera non è affatto un “sepolcro imbiancato” ma ciò che ci rappresenta – in senso anche shakespeariano – in quanto italiani e che nelle nostra formazione e nel nostro bagaglio culturale, nelle nostre scuole, non dovrebbe mai mancare “il terzo Giuseppe del Romanticismo italiano” (cito Paolo Gallariti) accanto a Dante, Petrarca ed Alessandro Manzoni.
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