“Quel giovane non cape in sé”. Sono le parole che Cesare De Sanctis scrive a Giuseppe Verdi il 23 Ottobre del 1852, poco dopo la morte di Salvatore Cammarano, avvenuta il 19 di luglio dello stesso anno.
Cesarino (De Santis nei carteggi verdiani) il negoziante musicofilo napoletano, che in questo caso usa efficacemente il gergale “cape” (voce dialettale napoletana derivante dal latino capere, come modo di dire “non sta in sé dalla gioia”), si riferiva al giovane poeta napoletano Leone Emmanuele Bardare che, come racconta anche Salvatore Di Giacomo, aveva assistito Cammarano morente nella scrittura degli ultimi versi de Il trovatore, subentratogli definitivamente nella rifinitura del lavoro nell’agosto del 1852.
A garantire per lui fu il De Sanctis che rassicurò Verdi ufficializzando, nell’occasione, la presenza del giovane poeta nell’ entourage di Salvatore Cammarano già da qualche tempo, come lascia intendere Carlo Tito Dalbono indicandolo – giovane vicino a lui-, e quindi, prima ancora del repentino aggravarsi della sua malattia nell’estate del 1852.
Leone, infatti, aveva allora poco più di trent’anni ed al suo attivo una collaborazione produttiva, forse esclusiva, con il Teatro Nuovo di Napoli, per il quale fece anche passare la censura borbonica al Rigoletto, assicurandone “la prima napoletana” (1853), attraverso la rimodulazione dei personaggi e delle ambientazioni, con la “sua” Clara di Perth, non senza qualche reazione di Francesco Maria Piave soprattutto. Nuovi trovamenti documentari, accanto all’analisi filologica delle fonti dell’epoca ed alla vasta, sebbene disarticolata, bibliografia a disposizione, unita alla collazione anche delle “disorganiche” note biografiche, stanno però restituendo la fisionomia e l’attività non marginale, di quello che per autodichiarazione fu “poeta melodrammatico”, non solo nelle vicende verdiane ma anche nel panorama musicale e letterario della Napoli a cavallo tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento, tanto da essere citato, quando era ancora vivente, da Francesco Florimo nel Cenno storico sulla scuola musicale di Napoli (1871).
Ma per Salerno, per il Teatro Municipale che fu intitolato proprio a Giuseppe Verdi, Leone Bardare significa la versificazione de I Normanni a Salerno, un libretto originale, musicato dal compositore salernitano Temistocle Marzano. Grazie all’appassionata ricerca di Eugenio Paolantonio (I Dimenticati, Salerno, D&P Editori, 2018), che ha indagato la figura del musicista, sappiamo che l’opera fu portata a termine entro il 23 Febbraio del 1872, quando cioè il Maestro ne diede comunicazione ufficiale a Matteo Luciani, allora Sindaco di Salerno, per poi donarla al Municipio e metterla in scena l’11 luglio dello stesso anno.
Il librettista ed il musicista, il secondo poco più giovane del primo, si erano conosciuti a Napoli dove Temistocle aveva studiato come allievo di Nicola Zingarelli e Saverio Mercadante al Conservatorio San Pietro a Maiella, mentre il poeta, secondo di undici figli di Don Antonio (“impiegato nella cancelleria del Tribunale civile di Napoli”), si formava probabilmente in uno dei tanti “Studi privati” fondati dal purista Basilio Puoti ed altri. Fu questo l’ambiente, anche linguistico, in cui il giovane poeta crebbe ed in cui si assicurò la conoscenza del “Felice Romani di Napoli” (cit. F. Florimo), Salvatore Cammarano, tanto da avere l’onore di “dialogare alla pari” con Giuseppe Verdi.
Nei Carteggi superstiti, infatti, Verdi mostra per il librettista lo stesso rispetto che aveva mostrato per Cammarano, sincerandosi dell’assenso del giovane prima di chiudere la metrica nella partitura de Il trovatore.
Nel libretto de I Normanni a Salerno, la cui scrittura terminò entro il 1871 o al massimo all’inizio dell’anno seguente, Bardare sembra associare alla “quintessenza del linguaggio poetico”, fatto anche di rimandi e reminiscenze linguistiche, nuove “aperture” lessicali inclini alla colloquialità in cui emergono anche termini appartenenti al linguaggio marinaresco.
Si tratterebbe dell’ultimo lavoro noto nell’ambito teatrale e melodrammatico di Bardare (mentre sappiamo anche che accanto all’attività poetica associò, già intorno 1860, quella di professore di Letteratura nel Reale Albergo dei Poveri di Napoli), da valutare anche alla luce delle “varianti” linguistiche e testuali-drammaturgiche condotte su un altro esemplare di libretto conservato nella collezione privata Paolantonio di Salerno (da aggiungerebbe ai tre testimoni già conosciuti di Napoli, Venezia e Washington).
La genesi dell’opera salernitana e la “revisione” del libretto avvenne nell’anno in cui Antonio Ghislanzoni scrisse per Verdi il libretto di Aida (pubblicato da Ricordi per la prima italiana all’inizio del 1872) per la messa in scena a Il Cario, mentre a Napoli l’opera arrivò con l’ultimo soggiorno di Verdi nel 1873. Il binomio Bardare-Marzano segna, così, un passo decisivo nella storia teatrale e drammaturgica anche salernitana nella quale il 2021 segnerà il 150° anniversario della “produzione” sia dell’Aida che de I Normanni a Salerno.
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