
Chi ama la lettura è “costretto” a leggere alcuni volumi in quanto considerati “pietre miliari”. FERITO A MORTE di Raffaele La Capria è uno di questi. Un testo considerato fondamentale non solo perché vincitore di un Premio Strega, ma resta uno dei pochi libri critici nei confronti della borghesia partenopea, a questo si aggiunge una struttura narrativa per immagini, insolita ed efficace. Attraverso i ricordi di Massimo, il protagonista del racconto, La Capria narra l’indolenza del ceto medio alto nell’immediato dopoguerra e della presa di coscienza del distacco atavico tra realtà e vita sociale, così come li vive per l’appunto il protagonista. È uno di quei libri che o si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo. Massimo racconta le sue estati, le sue amicizie e il primo amore attraverso una serie di Polaroid perfettamente descritte e che solo alla fine del racconto trovano un legame grazie ad una cena che segna la partenza di Massimo verso nuove mete alla ricerca di un lavoro. Questa in sintesi la sinossi per nulla esaustiva poiché la scrittura di La Capria è ricca di sfumature, immagini e descrizioni che definire efficaci non rende l’idea. La Capria costruisce una cassettiera della memoria grazie ad un meccanismo assolutamente innovativo per il panorama culturale italiano. L’incipit con la descrizione della cattura della spigola sono un esempio di grande scrittura difficile da ritrovare in altri testi. Al teatro Mercadante di Napoli (fino al 30 ottobre) è attualmente in scena la trasposizione teatrale di questo testo adattata per il palcoscenico da Emanuele Trevi (altro premio Strega) e la regia di Roberto Andò. L’operazione, a mio giudizio, era di una difficoltà insormontabile, eppure è perfettamente riuscita. Complice uno gruppo di attori straordinari tra cui Andrea Renzi, Gea Martire, Aurora Quattrocchi, Giovanni Ludeno (personalmente è l’attore che ho trovato più efficace) e molti altri. L’allestimento sontuoso ha permesso al regista di raccontare nel migliore dei modi questo viaggio nella memoria del protagonista che con grande malinconia racconta il tempo che passa ed esprime tutti i suoi dissapori nei confronti della propria terra che ama ma ferisce allo stesso tempo. Lo spettacolo non è per tutti e, nel mio caso, credo che la conoscenza del testo abbia aiutato a goderne. Chi non lo conosce potrebbe non apprezzare del tutto il lavoro fatto dalla compagnia teatrale, in ogni caso resta un ottima produzione di grande qualità. I diversi piani temporali del racconto sono stati resi nel migliore dei modi possibili ma, chi va a teatro senza conoscere il testo originale, potrebbe non capire i numerosi cambi di scena ed il senso dei vari piani temporali abilmente costruiti grazie ad una scenografia dinamica. Comunque è tra i migliori allestimenti teatrali che abbia avuto il piacere di vedere negli ultimi anni, che rende merito ad un autore di grande valore troppo spesso sottovalutato perché eccessivamente legato alla nostra città. La malinconia, la frustazione e il disagio del protagonista restano universali e in quanto tali ognuno può sentire proprio il racconto di un uomo che attraversa le varie fasi della sua vita. La Capria su questo ordito ricama in maniera sapiente la sua critica nei confronti di una metropoli unica e meravigliosa troppo radicata ai suoi stereotipi incapace di guardare avanti. Un romanzo antico ma incredibilmente attuale che il regista e tutta la produzione a ragione hanno ritenuto riproporre in una chiave moderna e contemporanea. Bello.
Umberto Mancini
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