“Le vite degli Altri” e i muri delle coscienze

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A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, ricordiamo il Premio Oscar 2007 come Miglior film straniero- di Francesco Fiorillo-

C’era una volta un muro che divideva in due una città. Ad ovest, gli uomini vivevano liberi, ad est erano oppressi da un governo oscurantista e arretrato. Il muro non divideva solo la città, ma anche famiglie e amici, che avevano come unica colpa quella di abitare in strade diverse; chiunque tentasse di superare la barriera per raggiungere i suoi cari, o fuggire verso il mondo libero, veniva ucciso senza pietà dalle guardie poste a sorvegliarne il perimetro. Sembra un racconto di fantasia, uno scenario distopico degno di uno scrittore come Philip K. Dick, eppure è successo davvero.

30 anni fa cadeva il famigerato Muro di Berlino: per 28 anni aveva diviso la Germania in due, impedendo la libera circolazione fra la Repubblica Democratica a est, controllata dall’Unione Sovietica, e la Repubblica Federale a ovest. Un muro non soltanto fisico, ma anche ideale, che separava due mondi, due filosofie impegnate in una Guerra Fredda senza quartiere: l’Europa Occidentale NATO, e l’Europa Orientale comunista.

Anche ora, dopo 30 anni dal suo abbattimento, il muro continua ad infestare le coscienze degli uomini, come se fosse uno spettro impossibile da esorcizzare. Molte sono state le pellicole che hanno cercato di raccontare quegli anni: Il cielo sopra Berlino, Goodbye Lenin!, Il Ponte delle Spie, sono solo alcuni esempi eccellenti. Ma una pellicola fra tutte spicca per rigore, sensibilità e umanità.

Le vite degli altri, film del 2006 firmato dall’esordiente Florian Henckel von Donnersmarck, racconta sì la caduta del muro, ma lo fa mettendo in scena un altro crollo simbolico: quello delle certezze di un ufficiale della Stasi, la temuta organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca. Siamo alla fine degli anni ’80, e la Berlino Est che ci viene mostrata è un luogo cupo e opprimente, in cui i cittadini sono tenuti sotto scacco dalla paura di essere denunciati come sovversivi, e di essere di conseguenza poi arrestati e torturati dalla polizia segreta. Il ricatto, la delazione, la corruzione sono gli strumenti con i quali il regime sovietico tiene serrati i ranghi, e impedisce la fuga verso Berlino Ovest.

Gerd Wiesler (un gelido e straordinario Ulrich Mühe) è un capitano della Stasi: un esperto in interrogatori, efficiente, razionale, ma anche estremamente solo; lo vediamo aggirarsi sperduto nel silenzio del suo appartamento, cenare di fronte alla televisione, e colmare il suo vuoto interiore con la compagnia di una prostituta. Il capitano Wiesler (o “HGW XX/7”, come viene identificato dalla Stasi) è il figlio perfetto del regime del quale è schiavo inconsapevole: una macchina ad orologeria, ma priva di coscienza e umanità.

Quando viene incaricato di sorvegliare lo scrittore teatrale Georg Dreyman (un monotono Sebastian Koch), sospettato di non essere fedele all’ideologia comunista, il capitano Wiesler fa installare dei microfoni nella sua abitazione, e comincia a spiarne di nascosto la vita: ed è così che si apre la prima breccia nel muro della sua coscienza.

Anche Dreyman è un uomo spezzato: costretto a controllare la sua arte per non urtare le sensibilità del regime, è disprezzato dai suoi stessi amici, che invece mettono quotidianamente in pericolo la loro libertà per poter esprimere appieno il loro pensiero; come Jerska, un vecchio scrittore ormai impossibilitato a lavorare per vie delle sue idee politiche.Dreyman e Jerska sono però facce della stessa medaglia: in un paese in cui la libertà artistica è così limitata, le uniche scelte sono diventare martiri, o abbassare il capo e sopravvivere. Lo sa bene anche la donna di Dreyman, la bella attrice Christa-Maria (un’intensa Martina Gedeck), costretta ad accettare le attenzioni lascive del ministro della cultura Hempf, con il ricatto di non poter più recitare.

Giorno dopo giorno, ascoltando le vite di Dreyman e Christa-Maria, il capitano Wiesler entra in contatto con l’arte e la letteratura, elementi fino a quel momento a lui sconosciuti. E qualcosa comincia a cambiare: da spia, il capitano si trasforma gradualmente in angelo custode, sempre più affezionato alle sorti dei due artisti. Il muro delle sue certezze crolla, così come la sua fedeltà al regime: ora, tutto quello che vuole è aiutare e proteggere la coppia. Perché nel suo profondo, il capitano Weisler è un uomo buono.

Quando Jerska, schiacciato dal peso di una vita senza arte, si toglie la vita, Dreyman decide di uscire dal suo guscio, e scrivere un articolo anonimo che denunci l’alta percentuale di suicidi nella Germania Est. Grazie ad una rete di amici, riesce a far pubblicare l’articolo in occidente, ma così facendo attira le ire e le attenzioni del regime, che non si fa scrupolo a ricattare Christa-Maria e a costringerla a denunciare il suo compagno. Mentre gli artigli della Stasi si allungano sullo scrittore, il capitano Weisler è pronto a precedere ed ostacolare la sua stessa organizzazione: sfruttando la sua posizione di osservatore invisibile, elimina ogni prova della colpevolezza dello scrittore, salvandolo dall’arresto. Ma è troppo tardi per Christa-Maria, che si uccide per la vergogna del tradimento.

Weisler è un eroe, ma la sua carriera è finita: per aver ostacolato l’operazione, viene punito dai suoi superiori e costretto ad un umile lavoro di ufficio. L’alto ufficiale, un tempo perfido strumento di  persecuzione, diventa un misero impiegato, ma la sua anima è salva: ha fatto la cosa giusta.

Solo dopo la caduta del muro, consultando documenti secretati, Dreyman capisce di dovere la sua salvezza a Weisler, e decide così di dedicargli il suo ultimo libro: “Sonata per gli uomini buoni”.sUn giorno Weisler, di passaggio in una libreria, scopre il volume di Dreyman con la dedica “a HGW XX/7, con gratitudine”, e decide di comprarlo. Quando il commesso gli chiede se è un regalo, lui risponde con un sorriso modesto “No, lo prendo per me”.

Forse i muri che ci impediscono di crescere e liberarci dalle nostre catene sono troppo difficili da scavalcare, e magari alle volte il tentativo ci uccide o ci distrugge. Ma dobbiamo provarci, anche se il prezzo è alto. Perché la Storia ci insegna che i muri possono essere abbattuti.

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