Nei cinema il film di Gianni Amelio nel ventennale della morte di Bettino Craxi, un lavoro speciale ma anche poco ambizioso-di Francesco Fiorillo-
La Prima Repubblica è un memoria rimossa dalle menti di noi italiani. Come se fosse un sogno confuso, si agita appena al di sotto delle nostre coscienze, senza assumere contorni definiti. I suoi protagonisti sono ormai fantasmi, ogni tanto evocati dai sempre più rari spettacoli satirici. Tanta acqua è passata sotto i ponti, tanti governi si sono avvicendati, uno dopo l’altro. Abbiamo dimenticato. Eppure, è stato un pezzo di storia fondamentale del nostro Paese, e la sua caduta ad opera di Mani Pulite ha essenzialmente creato la politica e i partiti così come li conosciamo ora.
A vent’anni dalla morte di Bettino Craxi, una delle figure più controverse di quel periodo, Gianni Amelio torna nei cinema con un film dedicato proprio alla figura dello statista. Ma, ben consapevole del nostro processo di rimozione storica, il regista decide di non raccontare il politico, ma piuttosto l’uomo. E lo fa concentrandosi sui suoi ultimi mesi di vita, durante l’esilio volontario nella città tunisina di Hammamet. Ne nasce così una pellicola sospesa ed intima, in cui le vicende del Partito Socialista Italiano e di Tangentopoli sono in secondo piano, quasi echi di un altro mondo.
Ad Amelio non interessa assumere alcuna posizione: ciò che gli preme è mostrarci Craxi come un semplice essere umano, con i suoi dubbi, i suoi rimpianti e i suoi rimorsi. Un uomo ormai lontano dalla sua amata Milano, convinto di essere vittima di una persecuzione, e pertanto prigioniero volontario in una gabbia dorata piuttosto che detenuto in patria. Il regista ci immerge nella sua realtà girando la pellicola nella vera casa di Hammamet, attraversando con la telecamera le stanze e i corridoi, passeggiando fra le palme del giardino, spiando i suoi abitanti mentre mangiano, o guardano alla televisione i programmi di un’Italia remota, così lontana eppure così vicina.
La città tunisina è un purgatorio, un luogo di espiazione e di riflessione, in cui il Presidente (il nome di Craxi non viene mai pronunciato) è costretto a guardarsi dentro, a ripensare a chi l’aveva messo in guardia, e a constatare con amarezza l’odio che l’Italia ancora gli riserva. Hammamet è una dimensione in cui i personaggi non hanno nome (il figlio, la moglie, l’amante, il politico) o sono ribattezzati (la figlia “Anita” anziché Stefania), quasi fosse un limbo abitato solo da ombre o riflessi. A turbare la quiete di questo luogo arriverà un ragazzo, figlio di un amico morto suicida, che darà il via ad una partita a scacchi in cui lo statista dovrà affrontare il suo passato, ma soprattutto il suo presente e futuro.
L’opera di Amelio appare totalmente focalizzata sulla figura e i monologhi di Craxi, e il film ne risente: la pellicola è permeata da un’atmosfera sonnolenta, che stenta ad ingranare. Se aggiungiamo una fondamentale assenza di trama, e delle prove attoriali scarse o anonime nei ruoli di contorno (Luca Filippi e Claudia Gerini specialmente), ne emerge un prodotto troppo lento, non ambizioso e a tratti eccessivamente compiaciuto. Il finale onirico (che sembra strizzare l’occhio a Paolo Sorrentino) non riesce a risollevare le sorti del film, un lavoro intimista che si accontenta di generare suggestioni, non storie. E che rischia di essere facilmente dimenticabile.
Difficile da dimenticare, invece, è l’incredibile interpretazione di Pierfrancesco Favino: un vero e proprio trasformista, capace di imitare alla perfezione la voce e i gesti dello statista, ma anche di dargli vita e gravità, interpretando con intelligenza e cuore i numerosi monologhi (struggente quello in cui Craxi racconta il suo sogno). L’interpretazione di Favino è il vero fiore all’occhiello della pellicola, una performance che (dopo l’ottima prova ne Il Traditore di Bellocchio) lo conferma fra gli attori italiani più promettenti degli ultimi anni.
Per non tacere del talento straordinario del make up designer Andrea Leanza e della sua squadra, altro valore aggiunto della pellicola: il trucco che dona a Favino le fattezze di Craxi (e che ha richiesto sedute giornaliere di 4 ore per la sua applicazione) non solo crea un’incredibile somiglianza, ma riesce anche a valorizzare il talento dell’attore, senza nasconderne la mimica facciale.
Insomma, Hammamet va ricordato per la preziosa prova dell’attore protagonista, e per l’altissima qualità della produzione. Meno per le sue intenzioni e per la sua resa sullo schermo. E’ un’opera che sbarca al cinema fuori tempo massimo: Bettino Craxi è solo un pretesto per parlare della mortalità umana, e di quanto sia facile dimenticare, pur di non ricordare.