” A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?”(Giuseppe Fava) -di Claudia Izzo-
“Mi rendo conto che c’è un’enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante… »
Intenso e incisivo è il messaggio che il film tv “Prima che la notte”, andato in onda ieri nell’ambito della giornata sulla Legalità, ha tracciato di Giuseppe Fava, appassionato giornalista siciliano. Una produzione RAI fiction, tratta dall’omonima opera letteraria del figlio Claudio e Michele Gambino che ha visto in Fabrizio Gifuni un protagonista autentico, per somiglianza ed interpretazione.
Ma chi era Giuseppe Fava? Giornalista, scrittore, drammaturgo, saggista e sceneggiatore, lavorò per l’Espresso sera, poi scrisse per il teatro: “Cronaca di un uomo“è la sua prima opera del 1966; nel 1970 “La violenza” conquista il Premio IDI e viene portata in tournèe per tutta l’Italia e poi si ha la sua trasposizione cinematografica diretta da Luigi Zampa con Franco NBero, Jennifer O’Neil e James Mason. Dopo aver lasciato l’Espresso sera Fava si trasferisce a Roma dove conduce una trasmissione radiofonica su Radioraii “Voi ed io”. La passione lo poerterà a scrivere per Il Tempo, Il Corriere della sera, scrivendo poi la sceneggiatura di Palermo or Wolfsburg, film di Werner Schroeter con cui vince nel 1980 l’Orso d’Oro.
E’ nel 1980 che gli fu affidata la direzione del Giornale del Sud. Dopo un primo scetticismo, Fava creò una redazione ex novo, affidandosi a inesperti cronisti improvvisati, tra cui il figlio Claudio. L’atmosfera di entusiasmo dei giovani redattori è ben espressa nel film per la tv, insieme all’atmosfera sempre più pesante che via via si andava creando.
Nacque così un giornale coraggioso di denuncia, una voce libera sopra la dilagante piaga della mafia. Resta famoso il suo articolo “Lo spirito di un giornale” in cui afferma :« Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. ».
Uomo di pensiero e di azione, Fava fece del suo giornale l’espressione della sua integrezza e del suo coraggio: denunciò l’ attività di Cosa nostra, attiva nel capoluogo etneo soprattutto nel trafficodella droga. Espresse la sua opposizione all’installazione della base missilistica a Comiso, poi realizzata; fu a favore dell’arresto del boss malavitoso Alfio Ferlito per scoprire, poi, che gli editori del suo gironale frequentavano gli stessi boss di cui egli stesso parlava nei suoi articoli. Prima scampò ad un attentato realizzato con una bomba con un chilo di tritolo, poi la prima pagina del giornale fu censurata, poi fu licenziato. Con determinazione fondò il mensile “I Siciliani” in cui, senza giri di parole, Fava diede vita ad inchieste e denunce sulle attività illecite, tra cui quelle dei “quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, che coinvolgeva personaggi come Michele Sindona. Continuò fino alla fine a mantenere e difendere l’indipendenza del suo mensile, nonostante le mille difficoltà ed intimidazioni, continuando a pubblicare le foto dei boss mafiosi accanto a politici, imprenditori e questori. Famosa resta la sua intervista rilasciata ad Enzo Biagi su Rai 1, sette gironi prima del suo assassinio. Il 5 gennaio 1984 fu freddato a bordo della sua auto da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca. Il delitto fu etichettato come passionale ed il sindaco Angelo Munzone continuò a dichiarare che a Catania la mafia non esisteva.
Ad accompagnare la bara furono per lo più giovani ed operai.L’ultimo processo si è concluso nel 2003 con la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato Santapaola, ritenuto il mandante dell’omicidio, Marcello D’Agata come organizzatore e Aldo Ercolano come escutore. Gli altri condannati in prima istanza sono stati assolti.
Pippo Fava, è stato il secondo intellattuale, dopo Peppino Impastato, ucciso da Cosa Nostra. Una persona semplice ma piena di carattere, un intellettuale determinato e coraggioso, capace di tradurre attraverso la scrittura, la profondità del suo essere, lottando attraverso i suoi giornali, i suoi pezzi, le sue parole, per un mondo migliore. E proprio questo mondo ed il giornalismo, mai come in questo momento storico, avrebbe bisogno di giornalisti simili, in lotta per i propri ideali.