di Francesco Fiorillo-
Trionfa il lettone “Janvāris”, nessun premio per gli artisti italiani
E’ calato il sipario sulla diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma; una kermesse oramai quasi maggiorenne (il prossimo anno festeggerà i 18 anni), che ancora una volta dimostra con i numeri che l’amore per la settima arte non si è spento: accrediti aumentati del 34% rispetto all’anno scorso, e biglietti acquistati cresciuti del 24%.
Un risultato non scontato, anche considerando il cambio ai vertici di questa edizione (Gian Luca Farinelli è il nuovo presidente, e Paola Malanga la nuova direttrice artistica). Ma le sale gremite e la grande affluenza di pubblico sono la prova che la scommessa della nuova direzione di dare al festival una nuova immagine, conservandone l’eredità storica, si può dire vinta.
Certo, le cose potevano andare meglio: dispiace che quest’anno la Festa sia stata “snobbata” da molte star americane (che hanno disdetto la loro presenza, in alcuni casi anche all’ultimo minuto), e dispiace che fra i vincitori non figurino artisti italiani (nonostante la presenza di nomi come Michele Placido, Toni Servillo, Pierfrancesco Favino e Riccardo Scamarcio); ma come ha detto la direttrice artistica Paola Malanga nella conferenza stampa finale, «per prima cosa ci sono i film, poi ovviamente gli attori e i registi».
Come tutti gli anni, il festival ha avuto come fulcro l’Auditorium Parco della Musica, ma ha coinvolto anche il resto della Capitale, con il ritorno dell’area di incontro e aggregazione del Villaggio del Cinema (di fronte all’Auditorium), e proiezioni e repliche sia nelle sale romane classiche (come il Cinema Nuovo Sacher, il Nuovo Cinema Aquila e l’UCI Porta di Roma) che in strutture anticonvenzionali come il Policlinico Universitario Agostino Gemelli e i carceri di Rebibbia e Latina.
La giuria del festival, capitanata dalla regista e illustratrice iraniana Marjane Satrapi (autrice della bellissima serie a fumetti Persepolis) ha premiato come Miglior Film Janvāris, di Viesturs Kairišs: la pellicola lettone, che racconta la storia di tre aspiranti registi sullo sfondo dell’invasione sovietica del 1991, ha fatto la parte del leone alla Festa, ricevendo anche il premio per la Miglior Regia e il Miglior Attore (Kārlis Arnolds Avots).
Ottimo risultato anche per il sudcoreano Jeong-sun di Jeong Ji-hye, che si è portato a casa il Gran Premio della Giuria e il premio per la Migliore Attrice (Kim Kum-Soon): una riflessione sulle difficoltà che le vittime di cyberviolenza e soprusi sessuali devono affrontare, in una società come quella coreana in cui la disparità di genere è sempre più marcata.
Bene per lo svizzero Foudre di Carmen Jaquier: la pellicola su una giovane novizia alla ricerca della sua identità ha ricevuto il Premio Speciale della Giuria per la fotografia (ad opera di Marine Atlan) e la Menzione Speciale della Giuria all’attrice Lilith Grasmug.
Si segnalano anche il premio alla Miglior Sceneggiatura per lo spagnolo Ramona dell’esordiente Andrea Bagney (una surreale commedia nevrotica in stile Woody Allen), il premio Ugo Tognazzi alla miglior commedia per l’indiano What’s love got to do with it di Shekhar Kapur (storia di una regista e del suo documentario sul matrimonio combinato di un suo amico di infanzia), e il premio Miglior opera prima per l’americano Causeway di Lila Neugebauer, con la brava Jennifer Lawrence (un dramma psicologico su una soldatessa di ritorno dalla guerra).
Durante la cerimonia inaugurale del festival, è stato consegnato il Premio alla carriera al regista James Ivory, autore celebre per film come Camera con vista, Quel che resta del giorno e Casa Howard. Il cineasta americano, che ha al suo attivo più di 30 pellicole e un premio Oscar per la sceneggiatura di Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, ha anche presentato durante la Festa il suo ultimo lavoro, A cooler climate: un malinconico documentario girato durante un suo viaggio in Afghanistan nel 1960, che mescola le immagini di Kabul con quelle della sua infanzia nell’Oregon.
Davvero innumerevoli le anteprime proiettate in questa edizione: fra i film hanno fatto il loro esordio sugli schermi Il colibrì di Francesca Archibugi, con Pierfrancesco Favino e Benedetta Porcaroli; L’ombra di Caravaggio di Michele Placido, con Riccardo Scamarcio e Micaela Ramazzotti; La stranezza di Roberto Andò, con Toni Servillo nella parte di Pirandello; e il nuovo lungometraggio di Steven Spielberg, The Fabelmans, la storia semi-autobiografica di un ragazzo che sogna di diventare regista.
Per quanto riguarda le serie TV, hanno debuttato al festival The last movie stars di Ethan Hawke (omaggio a Paul Newman e Joanne Woodward, e alla loro lunga storia d’amore); la seconda stagione di Romulus, la fiction di Matteo Rovere sulla fondazione di Roma; la serie western Django di Francesca Comencini (basata sul celebre personaggio ideato da Sergio Corbucci); e l’attesissima nuova stagione di Boris, con gli sceneggiatori Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo orfani del compianto collega Mattia Torre.
Insomma, tanta carne al fuoco anche quest’anno, in un’edizione che ha visto grande partecipazione ed entusiasmo, nonostante la delusione per gli assenti eccellenti e la mancanza di premi per gli artisti nostrani. Ma al di là dei riconoscimenti ottenuti, questa è stata la Festa degli italiani.
«Abbiamo avuto dei tappeti italiani molto belli e molto partecipati, e ringrazio tutti gli italiani che si sono presentati a questo festival come ai festival internazionali, con una serietà che mi ha colpito molto» ha dichiarato la direttrice artistica Paola Malanga. «Abbiamo le nostre star, il pubblico le vuole e sembrava di stare a Venezia o a Cannes proprio grazie a come attori, registi, produttori hanno considerato il tappeto di quella che in fondo è la Capitale del cinema del nostro paese».
Avanti così, dunque, verso il prossimo traguardo dei 18 anni.
La Festa del Cinema di Roma cresce, e noi con lei.