
Il 10 dicembre 1830 ad Amherst, in Massachussetts (USA), nacque Elizabeth Dickinson da una famiglia borghese, non particolarmente ricca ma molto influente.
Emily Norcross, la madre, era una donna algida, diversamente del padre, Edward Dickinson, che Emily più volte definì un faro, una luce, un punto di riferimento. Un uomo dalla mente aperta che investì molto nell’educazione dei suoi tre figli, del maschio Austin e delle femmine Lavinia ed Emily, in netto contrasto con quelle che erano le rigide regole di una società patriarcale. Emily poté così studiare, coltivare la sua passione per la cultura classica ed il suo amore per le lettere.
La Dickinson fu una studentessa modello, appassionata, amante della musica e del pianoforte, fu una donna criptica, distrusse ogni schema tradizionale, una donna che dialogava con il sacro in modo irriverente, con pungente ironia, lasciando spesso trapelare il suo ateismo. La sua vita fu particolare e certamente molto diversa da quella delle sue coetanee. Sulla soglia dei 30 anni prese la decisione di ritirarsi in solitudine. Sola ma non isolata, perchè circondata dalla sua famiglia. Trascorse la giovinezza scrivendo poesie chiusa nella casa paterna e ne usciva di rado per recarsi in giardino o nell’attigua casa del fratello. Era solita indossare abiti lunghi e bianchi probabilmente a causa della sua epilessia. Era infatti noto che gli epilettici durante le crisi si sporcavano molto e gli abiti bianchi erano senz’ altro più facili da pulire. Fu proprio questa sua malattia, secondo le fonti più accreditate, ad indurla alla reclusione volontaria.
Altre fonti attribuiscono questa scelta ad una delusione amorosa. Ebbe diversi pretendenti tra i quali spiccò Otis Phillips Lord, un attempato collega del padre che ebbe l’ardire di chiederla in sposa, incassando un rifiuto. “Sai qual é la parola più bella del dizionario? La parola NO”, era solita scrivere lei. Il rifuto del matrimonio in piena epoca vittoriana era davvero inusuale per una donna Emily scelse di non rimanere imprigionata nei rigidi schemi patriarcali e di dedicarsi completamente all’attività intellettuale. Il luogo eletto per scrivere fu la sua camera di cui era particolarmente gelosa e che rese inaccessibile a tutti. Era lì che scriveva e conservava i suoi versi che poi provvedeva a rilegare, cucendoli personalmente a mano. Fu solo dopo la sua morte che la sorella Lavinia, entrando nella stanza, scoprì la sua immensa e straordinaria produzione letteraria. Parliamo di circa 1800 componimenti che Lavinia si preoccupò di far pubblicare e rivelare al mondo.
La Dickinson parlò di morte, di natura, di amore in ogni sfaccettatura usando spesso parole così dure che in alcuni casi furono in seguito sostituite con vocaboli ritenuti più adatti ad una poetessa. Tutta la sua opera é pervasa da una costante riflessione sul senso della vita e dall’angoscia esistenziale che ne consegue. Tutto questo traspare dalle sue liriche attraverso un linguaggio semplice, pulito, e senza punteggiatura, in netta contrapposizione a quello che era lo stile prevalente dell’epoca. Innovativa, forse troppo avanti per il suo tempo, un’ anticipatrice della poesia novecentesca. Prevale la brevitas nei suoi componimenti che apparentemente semplici sono intrisi di filosofia. Versi caratterizzati da una grande ricercatezza, all’interno dei quali ogni parola è portatrice di un profondo significato.
I pochi componimenti pubblicati quando Emily era in vita furono per questo motivo fortemente manomessi al fine di renderli più adatti allo stile dell’epoca e quindi più “accettabili”, per cui non ebbero molto successo.
La Dickinson appare sospesa tra una dimensione terrena ed una metaempirica. Nei suoi enigmatici componimenti si rivolge spesso a persone che in realtà non esistono. Parla di amici senza forma che varcano il confine della sua stanza e le fanno visita; il vero significato dei suoi versi si cela dietro metafore difficili da decodificare e che quasi sempre lasciano spazio a diverse interpretazioni.
Emily, pur vivendo chiusa in casa, non interruppe mai i contatti con il mondo. Leggeva i giornali e seguiva con molta partecipazione ciò che succedeva al di fuori della sua casa. Le sue lettere prendevano infatti spunto ed ispirazione da ciò che accadeva nel quotidiano, da quelli che erano gli avvenimenti più importanti di quel preciso momento storico. Credeva che con la sola forza della poesia e della cultura, potesse viaggiare pur rimanendo fisicamente nello stesso posto. Una donna in fermento che scelse di anteporre il pensiero e la cultura a quelli che erano i “ruoli” di madre e moglie ai quali la donna sembrava essere destinata.
Si oscilla nei suoi versi tra un atteggiamento costruttivo e uno distruttivo, tra gioia e dolore, ed é costante la tensione tra il desiderio della fisicità ed una rinuncia autoimposta di tutto ciò che era terreno. Tutto questo dona ai suoi componimenti una potenza tale da farli arrivare dritti al cuore di chi legge attraverso un’espressività assolutamente inimitabile.
Qui di seguito alcuni dei suoi versi più intensi.
“Dentro il mio fiore mi celo,
perché – mentre sbiadisce dal tuo vaso –
tu avverta per me, senza saperlo,
quasi una solitudine.”
- File:Emily Dickinson daguerreotype (Restored).jpg
- Creato: 1848 circa date
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