-di Clelia Pistillo-
Fa sempre più notizia che in qualche scuola italiana si decida di sostituire le feste del papà e della mamma in favore di una più inclusiva festa della famiglia, sollecitando una doverosa riflessione sul tema.
Il segno di un cambiamento in atto è la progressiva diffusione di informazione e di iniziative in tal senso. Quest’anno anche in campo assicurativo è stata lanciata una campagna di sensibilizzazione senza precedenti. Il gruppo Zurich ha pubblicato sulla pagina facebook una serie di colorati e simpatici meme dal seguente contenuto: ”Un papà è qualcosa di unico, ma non c’è un unico genere di papà. Trasformiamo questo giorno dedicandolo a tutte le figure paterne. Festeggiamo insieme la festa dei papà.”
Nel primo meme della campagna si legge: “C’è chi ha due papà, chi ne ha uno lontano e uno vicino, chi ha un papà diverso da suo padre. Noi vogliamo festeggiarli tutti, perché quel che conta è esserci. Cambiamo la festa del papà, dedichiamola a tutte le figure paterne cambiando solo un articolo: la festa dei papà”, in un altro “Per chi ne ha uno o più di uno, la festa del papà è la festa dei papà. Tante famiglie, una sola festa per tutti.”
Un messaggio che è davvero fondamentale in un clima, quello italiano, in cui il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali tarda ad affermarsi.
Nel nostro Paese, infatti, occasioni come queste altro non sono che pretesti per alimentare scontri ideologici. Anche la festa del papà e della mamma potrebbero essere inserite in questo contesto. La festa del papà, infatti, cade il 19 marzo, data in cui sarebbe morto San Giuseppe, padre adottivo di Gesù e figura paterna per antonomasia, ed è innegabile che essa sia intrisa di contenuti religiosi e la stessa riluttanza da parte dei più fanatici tradizionalisti ad aprirsi verso definizioni alternative di questa festa altro non è che mancanza di volontà di riconoscere nuovi modelli familiari. Ciò che non viene nominato non esiste. Introdurre una più generica festa dei papà e delle mamme, oppure una festa della famiglia significherebbe ammettere cioè anche l’esistenza di altri modelli familiari.
Queste occasioni diventano uno strumento educativo per imporre una sola forma di relazione possibile insinuando nei più piccoli un pregiudizio etero sessista ed omofobico, togliendo la possibilità di festeggiare sia ai figli di coppie non eterosessuali, sia ai bambini orfani o che per qualsiasi altra ragione non abbiano una delle due figure di riferimento, mettendo anche un dito in una ferita già dolorosa di per sé ed accentuando il dolore dovuto all’assenza oppure, peggio ancora, ad un lutto. Queste giornate non si possono definire affatto un esempio di pedagogia inclusiva, ma finiscono per accentuare le distanze tra figli di famiglie diverse.
Come abbiamo accennato, già da tempo da nord a sud della penisola in alcune scuole queste feste vengono prese come pretesto per una riflessione sul tema, in alcuni casi si è scelto di optare per una festa della famiglia, il tutto non senza proteste da parte dei genitori più tradizionalisti. Intraprendere tali iniziative rimane però nella discrezione degli educatori i quali nella maggior parte dei casi tendono a rimanere fedeli alla tradizione.
Qualche anno fa un episodio simile accadde in un asilo nido di Roma, il tutto non senza suscitare un certo clamore. A far leva sull’opinione pubblica, scatenando la giusta dose di indignazione sono anche i titoloni shock e fuorvianti di alcune testate mettendo in evidenza quanto anche il sistema dell’informazione contribuisca a mantenere lo status quo.
Anche nel 2016 a Milano, un altro istituto aveva preso una decisione simile, motivando come alla base di questa scelta ci fosse la volontà di non turbare la sensibilità oltre che dei figli di genitori omosessuali anche dei bambini orfani e con un vissuto doloroso, dedicando lo spazio solitamente riservato alla festa del papà ad un progetto sulle diverse etnie.
Iniziative del genere sembrano suscitare ancora una certa dose di indignazione e puntualmente parte la lettera o la telefonata di protesta da parte di chi si sente minacciato da una sorta di discriminazione al contrario. Disparità che a ben guardare non esiste, anzi l’individuazione di nuove connotazioni per queste giornate le renderebbe maggiormente inclusive verso tutte le realtà familiari, nessuna esclusa, favorendo un clima di serenità e di tolleranza tra i bimbi.
Si potrebbe infatti optare per la festa dei genitori oppure delle famiglie eliminando del tutto il riferimento ad una figura piuttosto che ad un’ altra. Bisognerebbe avere il coraggio di mettere in discussione i vecchi modelli e di prendere atto che nel mondo, ed anche nel nostro Paese, le famiglie tradizionali non sono l’ unico modello possibile.
Gli educatori possono fare molto, ponendo le basi per una socializzazione che sia scevra da pregiudizio e discriminazione e di conseguenza agendo anche sulla prevenzione di fenomeni come il bullismo di cui i figli di genitori gay sono sempre più vittime. È quindi prioritario che chi si occupa dell’educazione dei più piccoli faccia proprie le acquisizioni della pedagogia contemporanea e dei risultati di ricerche condotte da varie associazioni di psicologi.
Questo è il messaggio che dovremmo tutti recepire, e comprendere che cambiare connotazione alla festa del papà o della mamma non significa eliminare la famiglia tradizionale bensì accogliere altre tipologie di famiglie favorendo una maggiore inclusione.
Scriveva Shakespeare: che non bisogna avere paura di dare alla rosa un altro nome perchè essa conserverebbe ugualmente il suo profumo. Ebbene non dobbiamo temere di riconoscere nuove famiglie perché è sempre l’amore l’unico collante ad accomunarle tutte. Si potrebbe parlare di una “festa degli affetti” perchè li racchiuderebbe tutti e ciascun bambino saprebbe esattamente con chi festeggiare. Per molti si tratta di una degenerazione del politically correct, ma non è solo una questione semantica, si tratta della funzione educativa di un linguaggio che anziché offendere può accogliere e valorizzare le diverse sensibilità.