Dal salernitano a Napoli: origini della sfogliatella Santa Rosa

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devozione, gusto e tradizione-

L’avrebbe mai detto Santa Rosa , nata nel 1568 e morta nel 1617, beatificata nel 1668 da Papa Clemente IX e canonizzata nel 1671 da Papa Clemente X che le sarebbe stato dedicato uno dei dolci divenuto poi tra i più famosi?

Facciamo un passo indietro, siamo nel ‘600 tra Furore e Conca dei Marini,  nel Monastero dedicato a Santa Rosa, oggi sede di uno splendido Hotel e di una SPA, dove nasce la moderna sfogliatella. Una monaca di clausura addetta alla cucina aggiunse, ad un po’ di semola avanzata cotta nel latte, frutta secca, zucchero, e liquore al limone. Un ripieno gustoso abbracciato da due sfoglie di pasta; la forma data fu di un cappuccio di monaca, amorevolmente impastato con strutto e vino bianco.

 


Il dolce fu chiamato Santa Rosa in onore alla Santa a cui era dedicato il convento.  Essendo un monastero di clausura, il dolce  veniva  posto e venduto attraverso la classica Ruota, in cambio di monete  che aiutavano i contadini della zona e le casse del monastero stesso. Ci piace pensare che  Santa Rosa sia stata piacevolmente colpita da questo dolce a Lei dedicato, questo dolce nato dalle mani di una sua devota, nella splendida costiera amalfitana, in territorio salernitano.

 

La ricetta della Santa Rosa giunse poi, ai primi dell’800 a Napoli, grazie all’oste Pasquale Pintauro, che aveva la sua bottega in via Toledo, di fronte a Santa Brigida. Da oste, Pintauro divenne pasticciere e la sua osteria divenne un laboratorio dolciario, la Santa Rosa divenne partenopea.

Da Attanasio, a Vico Ferrovia, poi, sempre a Napoli, si sfornano sfogliatelle sempre. Impossibile non restare rapiti prima di tutto dal loro profumo…una poesia dei sensi! E’ in questo luogo che campeggia la scritta “Napoli tre cose tene belle: o’ mare, o’ Vesuvio e e’ sfugliatelle”… Come non dar loro ragione?

Nel salernitano o nel napoletano, queste delizie del palato vanno gustate rigorosamente calde!

Questa la settecentesca ricetta conventuale:
«Prendi il fiore e mettilo sopra il tagliero nella quantità di rotolo mezzo. Mettici un pocorillo d’insogna e faticalo come un facchino. Doppo stendi la tela che n’è riuscita e fanne come se fosse una bella pettola. In mezzo alla pettola mettici un quarto d’insogna ancora, e spiega a scialle, 4 volte d’estate, 6 volte d’inverno. Tagliane tanti pezzi, passaci il laganaturo e dentro mettici crema e cioccolata o se più ti piace ricotta di Castellammare. Se ci metti un odore di vaniglia oppure acqua di fiori e qualche pocorillo di cedro, fa cosa santa. Fatta la sfogliata, lasciala mezza aperta e mezza ‘nchiusa da una parte e dove là scorre la crema facci sette occhi piangenti con sette amarene o pezzulli di percocata. Manda tutto al forno, fa cuocere lento, mangia caldo e alléccate le dita”.

Antonietta Doria

 

 

 

 

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