Trivelle a mare e futuro energetico del Paese

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Si avvicina l’ora della verità-

Negli ultimi giorni prima della data fatidica del 17 aprile l’interesse per il referendum anti-trivelle sta crescendo. Due nuovi eventi stanno tenendo banco presso l’opinione pubblica, tanto da rendere più fiduciosi gli organizzatori sul raggiungimento del quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto.

Da una parte i fatti di Basilicata, ampiamente riportati dalla stampa e dai media, rafforzano il fronte del SI.

Contemporaneamente la presa di posizione in varie sedi, dell’ex Presidente del Consiglio Italiano e della Commissione Europea Romano Prodi chiariscono con pacatezza i motivi del NO.

Anche il Presidente Prodi però, ritiene che il passaggio verso l’uso di energie non inquinanti sia una priorità della nostra società e riconosce che esse già coprono una quota consistente del fabbisogno energetico dell’Italia.
Le rinnovabili provvedono infatti al 15% del consumo totale nel nostro paese rispetto al 6% di quindici anni fa.

Qual è allora, in ultima analisi la materia del contendere?

E’ bene ribadire che il quesito riguarda solo la durata delle trivellazioni già in atto entro le 12 miglia dalla costa, e non riguarda le attività petrolifere sulla terraferma, né quelle in mare che si trovano a una distanza superiore alle 12 miglia, entrambe regolate da normative in essere.

Se vince il NO o non si dovesse raggiungere il quorum, le imprese che operano entro le dodici miglia potranno continuare ad estrarre gas e petrolio dai giacimenti marini esistenti fino al loro naturale esaurimento.
Viceversa, la prevalenza dei SI comporterà che le trivellazioni vengano fermate alla scadenza dei contratti di concessione, anche se nei giacimenti ci fosse ancora gas o petrolio.

Un importante “convitato di pietra” è anche presente nella disputa. E’rappresentato dagli impegni presi da molti Stati, Italia compresa, nella recente conferenza di Parigi COP21 sui mutamenti climatici, impegni volti ad impedire l’incremento della temperatura terrestre oltre i due gradi centigradi.

A questo punto si capisce come possano emergere ragioni di più vasto orizzonte portate avanti da associazioni, intellettuali e cittadini verso la richiesta sempre più pressante di un piano energetico nazionale che, al di là degli interessi meramente politici e di partito, sia in grado di pianificare l’uscita graduale ma decisa dai combustibili fossili, comunque inquinanti ed esauribili, verso le fonti di energia pulite e sostenibili. Sole e vento costituiscono le più disponibili di queste fonti. Di esse se ne giova l’agricoltura da millenni; gli usi domestici stanno sperimentando progressivamente tali risorse in tutto il mondo, si tratta di incrementare con intelligenza il ricorso ad esse; l’industria moderna è in grado di essere sempre meno energivora.

Il petrolio, che pure ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo della civiltà, ha contribuito a causare più o meno direttamente l’accumularsi di gas serra nell’ atmosfera e il manifestarsi dei mutamenti climatici di cui tutta l’umanità sta prendendo coscienza.

Per quanto altro tempo l’uso, e l’abuso, di idrocarburi potrà essere sopportato dall’ ambiente in cui viviamo?

Della risposta a questa e ad altre domande dello stesso tipo si assume la responsabilità il cittadino che si recherà, o meno, alle urne il 17 aprile per porre la croce sul sì o no alle trivelle.

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