Mediterraneo, tesoro da preservare

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A Malta oggi e domani il summit “Our Ocean, an Ocean for life”

di Vincenzo Iommazzo

Già  gli antichi Romani avevano ben compreso  il valore del Mediterraneo. Sicuramente non disponevano dei nostri aggiornati strumenti economico-finanziari, ma  avevano ben intuito l’importanza strategica di quel mare, se si considera l’accanimento con cui rasero al suolo l’antagonista Cartagine prima, e  l’intervento  contro l’espansionismo egiziano di Antonio e Cleopatra, in seguito.

Oggi il Wwf calcola che il “valore” economico dei beni naturali del Mediterraneo ammonta a 5.600 miliardi di dollari, mentre l’area che lo comprende genera ogni anno un’economia pari a 450 miliardi di dollari, sostenendo circa 150 milioni di persone che vivono lungo i suoi 46mila chilometri di costa. Non male per un mare che copre solo l’1% della superficie globale degli oceani. Se fosse un’economia a sé stante, si piazzerebbe al quinto posto dopo Francia, Italia, Spagna e Turchia, rappresentando ben il 20% del Prodotto marino lordo (Pml), indicatore contabile del livello dei “servizi naturali” nel mondo.

I dati sono contenuti nel report “Reviving the Economy of the Mediterranean Sea: Actions for a sustainable future”, prodotto dal WWF e lanciato proprio per il Summit – Our Ocean – ospitato dall’Unione Europea a Malta oggi e domani. L’obiettivo del WWF alla conferenza, è quello di sollecitare il confronto e la discussione, lanciando nel contempo l’allarme sul rapido declino di tanta ricchezza. Gli asset principali, contenuti o indotti dalla distesa d’acqua compresa tra tre continenti e in cui è immersa anche l’Italia, come piante marine (posidonia), migliaia di specie ittiche, cattura del carbonio, coste produttive, pesca, ecc., sono minacciati dall’opera dell’uomo e vanno diminuendo a causa dello sfruttamento non sostenibile e accelerato.

Tra il 2025 e il 2030, ai ritmi attuali, è prevedibile, infatti, una rapida crescita di attività che vanno dai trasporti marittimi alla realizzazione di nuove infrastrutture sulle coste, all’incremento della pesca e del turismo con tutte le conseguenze annesse.

Per fare un solo esempio, si calcola che nel settore turistico, ai 300 milioni attuali di visitatori internazionali nell’area mediterranea, entro il 2030 se ne aggiungeranno altri 200 milioni con graduale aumento annuo di circa il 3% e il conseguente aumento di impianti e servizi e anche di lavoratori impiegati. Particolare attenzione, quindi, va dedicata agli effetti dei vari fenomeni espansivi sull’ambiente, di per sé già sotto pressione.

La salute del Mar Mediterraneo è in una fase di svolta. Questa nuova analisi sostiene ancora più l’importanza della conservazione come una delle maggiori priorità per i leader dei paesi che si affacciano sul “mare nostrum”. “Il rapporto chiarisce quanto rilevante sia il valore economico, ambientale e sociale del Mediterraneo e quale sarà il costo che la grande comunità mediterranea dovrà sostenere se non verranno avviate le necessarie politiche di conservazione, mitigazione e tutela. La pressione esercitata sulle risorse ittiche, sulle aree costiere e gli ecosistemi marini è insostenibile e senza precedenti, in Mediterraneo come nella maggior parte dei mari e degli oceani del pianeta. I leader europei e del mondo, riuniti a Malta, devono cogliere questo momento per impegnarsi affinché siano raggiunti gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e dell’accordo globale sul clima del 2015. Non c’è tempo da perdere”, dichiara Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia.
Nella prefazione al report il maltese Karmenu Vella, Commissario europeo per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, ha avvertito a sua volta: “Costruire un’Economia Blu per il Mediterraneo dipenderà in gran parte dalla capacità che avremo di garantire la salute del nostro mare, delle sue coste e degli ecosistemi marini e, laddove è possibile, ripristinare quelli degradati. Non possiamo continuare a erodere i beni del Mediterraneo dai quali dipendono cultura ed economia”.

In sostanza è da riflettere che l’inquinamento che dissennatamente riversiamo nel mare, prima o poi arriva sulle nostre tavole attraverso i prodotti ittici che consumiamo e attenta subdolamente alla nostra salute. E’ già tempo, sostiene il report del Wwf, di pensare a nuove aree protette, a un turismo e, in generale, a uno sviluppo più sostenibile e non distruttivo degli habitat. Non dobbiamo più comportarci da “apprendisti stregoni” verso le risorse che la natura ci ha messo a disposizione e contro il futuro delle giovani generazioni.

 

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