Zaki torna in Italia tra polemiche e festeggiamenti

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di Pierre De Filippo-

Patrick Zaki è stato accolto da una Bologna festante.

Dopo tre anni di lunga Odissea e l’ultimo confinato in un buio carcere del suo paese, accusato d’essere una spia al soldo di chissà chi, finalmente qualche giorno fa il presidente egiziano Al Sisi, che governa da autocrate da ormai quasi dieci anni, gli ha concesso la grazia.

Una grazia attesa e sperata dalla sua famiglia, le sue donne che, con pazienza e determinazione, si sono battute affinché questo riccioluto attivista per i diritti umani, di stanza a Bologna, venisse rilasciato.

Solo poche settimane fa, il 5 luglio, aveva discusso la tesi su giornalismo, media e impegno pubblico, diventando dottore magistrale e portandosi a casa il suo bel 110 e lode. Chiaramente a distanza.

“Patrick ti auguro di vivere una vita serena e libera, senza farti tirare la giacchetta da nessuno, la tua forza è stata sempre l’indipendenza, mantienila sempre…”, gli sussurra, a mo’ di monito valido per tutte le stagioni, il Rettore dell’Alma Mater Giovanni Molari. E, con lui, la professoressa Rita Monticelli, quella che gli è stata più vicina.

“Sono qui: è un sogno che si avvera dopo tanti anni” – dice in un italiano ancora stentato – “è bellissimo essere qui, all’università. Grazie!”

Appena messo piede in Italia, Zaki aveva ringraziato anche il governo: “ringrazio le autorità italiane ed egiziane, le ong, la società civile e i vertici dello Stato italiano fino al Presidente del Consiglio…”.

Sì, perché questa, oltre ad essere una storia di festa e di lieto fine è anche, come nella più ancestrale tradizione italiana, una storia di provincialismo campagnolo, fatto di polemiche, piccate sottolineature, pulci che parlano.

Ottenuta la grazia – il governo italiano si è molto speso in questa direzione, anche in considerazione del fatto che, in Egitto, nessuno conosce Zaki e la sua storia – la Premier Meloni ha fatto pervenire a Zaki la proposta di riportarlo in Italia con un volo di Stato.

Un’accortezza non scontata e non dovuta.

Lui ha preferito di no ed è scoppiato il finimondo.

“Rifiuta il volo di Stato. Zaki l’ingrato”, titola subito Libero, che il giorno dopo rincara: “Schiaffo ai suoi liberatori. Compagno Zaki datti una calmata…”

Lo stesso giornale intervista Massimiliano Latorre, uno dei due marò del Battaglione San Marco, accusati di omicidio in India, la cui vicenda giudiziaria si è chiusa solo pochi mesi fa. “Caro Patrick, ci vogliono buonsenso, riconoscenza e rispetto”.

Carlo Rienzi, presidente del Codacons – da anni ormai diventato una sorta di setta ideologica della provocazione – presenterà un esposto alla Corte dei Conti per verificare “quanto è costata la liberazione di Zaki allo Stato italiano”.

La Premier ha messo prontamente le mani avanti – “non cerco riconoscenza” – cercando di stemperare i toni. D’altronde, cos’altro avrebbe potuto rispondere? Queste polemiche, in fin dei conti, non giovano neanche a lei.

Il ministro della Difesa Crosetto se n’è uscito con una battuta forse evitabile: “Non vuole venire col volo di stato? Meglio, risparmiamo”.

C’è un punto, anzi due, o forse tre, che chiudono la questione.

Patrick Zaki è stato liberato e le assurde e pretestuose accuse contro di lui sono cadute. Questo è ciò che conta. Ora prosegua la sua vita come meglio crede.

Il governo ha fatto bene ad interessarsi ad una vicenda che, comunque la si pensi, ci interessava da vicino come Paese. Ed ha ottenuto il risultato sperato.

Che in tanti polemizzino oggi sul gran rifiuto dimostra quanto interessati siamo alle apparenze e alle strumentalizzazioni. Sì, lo stiamo dicendo a mezzo stampa. Patrick Zaki avrebbe dovuto farsi strumentalizzare ed il governo avrebbe meritato il premio d’immagine.

Stiamo ragionando di questo con una tranquillità ed una superficialità tali da rendere perfettamente comprensibili tutti i nostri problemi.

Peccato, poteva essere una buona occasione per dimostrare d’essere migliori di così.

Invece, da noi sono solo canzonette.

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