Ucraina e Russia continuano a colpirsi

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di Pierre De Filippo-

La Russia ha risposto. Ha risposto attaccando indiscriminatamente l’Ucraina nei territori più vicini a quella regione del Donbass che a seguito di un referendum farlocco del 2022 ha annesso a sé. Ha risposto colpendo, ad esempio, la città di Kryivy Rih, quella nella quale è nato quarantasei anni fa Volodymyr Zelensky. Ha distrutto un albergo che era stato prenotato dalla squadra di calcio dello Shaktar Donetsk, a testimonianza, una volta di più, di quanto indiscriminati siano gli assalti.

La Russia ha risposto perché è da qualche settimana che l’Ucraina l’ha aggredita sul suo territorio. “Così anche loro sapranno cosa significa avere la guerra in casa”, ha detto il presidente Zelensky. In particolare, le forze ucraine hanno colpito l’oblast di Kursk, proprio a confine con l’Ucraina.

L’area di Kursk non è nuova, non è tragicamente nuova a queste tristi forme di popolarità: la Battaglia di Kursk, infatti, che si tenne tra il 5 e il 16 luglio 1943, viene ricordata come la più grande battaglia di mezzi corazzati della storia.

Da una parte la Wehrmacht tedesca, efficace e ben organizzata, dall’altra l’imponente e mastodontica Armata rossa sovietica. Dopo dieci giorni di dura guerra, i russi riuscirono a sconfiggere i tedeschi, riappropriandosi di un’essenziale parte del proprio territorio e, in questo modo, indirizzando il prosieguo della guerra.

Cosa accadrà questa volta? Ma soprattutto cosa ha inteso fare Zelensky con questa mossa? Gli analisti sono ancora divisi e dubbiosi. C’è da credere che il presidente ucraino voglia davvero creare una sorta di “zona cuscinetto” da barattare in eventuali futuri negoziati di pace. In più, ha dimostrato a Putin di avere ancora la forza non solo di difendersi – quella, paradossalmente, sta patendo un po’ – ma quella di aggredire, di combattere, di conquistare.

In aprile si era tenuta, a Ginevra, in Svizzera, la prima, inutile conferenza di pace. Inutile perché non avevano partecipato né la Russia, diretta interessata, né l’ormai indispensabile Cina.

E inutile anche a causa del veto ucraino rispetto alla presenza russa.

Qualche settimana fa, Zelensky ha fatto marcia indietro e ha detto che la prossima conferenza di pace non potrà prescindere dalla presenza russa.

Vedremo se sarà così.

Anche perché – sempre per comprendere meglio nessi di causa ed effetto – Zelensky lo ha detto subito dopo la pessima performance di Joe Biden nel dibattito contro Trump. In vista di una molto probabile presidenza Trump, isolazionista e quindi nei fatti filorussa, aveva messo le mani avanti.

Ora che la partita è molto più aperta, cosa accadrà? Confermerà questa decisione? Staremo a vedere.

Intanto anche Narendra Modi, presidente indiano, è stato per la prima volta a Kiev e ha portato a Zelensky la propria solidarietà. Gli ha garantito un supporto umanitario e per un governo che non aveva condannato la Russia a seguito della guerra di invasione è già tanto.

Qualcosa si muove. Ora però manca il tassello più importante: le presidenziali americane.

È, comprensibilmente, ciò che il presidente Zelensky sta aspettando con ansia e trepidazione. Una vittoria di Trump, come detto, sancirebbe la necessità ucraina di sedersi ai tavoli della pace, forse anche con il cappello in mano, ad elemosinare qualche concessione.

Se, invece, dovesse vincere Kamala Harris la partita sarebbe comprensibilmente più aperta. Ed un’altra domanda sarebbe interessante porsi: come gestirebbe questa situazione Joe Biden nei due mesi, tra novembre e gennaio, in cui sarà presidente prima dell’insediamento del futuro presidente? Non è detto che, in un caso o nell’altro, non possa decidere di risolvere lui stesso, e di passare alla storia, la questione.

Una soluzione va trovata, come va trovata rispetto al conflitto israelo-palestinese. Una soluzione va trovata per porre fine a questo inutile massacro

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