Presidenzialismo ed autonomia differenziata: due bandiere per la maggioranza

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di Pierre De Filippo-

Le bandiere sventolano ed è bene che lo facciano, a maggior ragione se sono politiche e hanno un alto valore simbolico. Ma chi le propugna deve stare particolarmente attento a non trasformarle in bandiere bianche, quelle alzate in segno di resa.

Presidenzialismo e autonomia differenziata sono due bandiere: la prima sta molto a cuore alla Premier Meloni e al suo partito; la seconda alla Lega di Salvini e di Calderoli che ne è ministro.

Di cambiare la nostra costituzione, il nostro ordinamento, l’equilibrio tra i poteri dello Stato si discute da tempo ma, quasi come se fosse una maledizione, ogni volta che qualcuno ci prova si scotta le dita proprio ad un miglio da traguardo.

Le riforme istituzionali sono bandiere politiche impegnative; lo sa bene Renzi che in parlamento si è premurato di ricordarlo a Giorgia Meloni: attenta te’ tu’ devi stare a non bruciarti le dita!

E pare che Giorgia l’abbia preso alla lettera: la ministra Casellati – che delle riforme guida il dicastero – ha iniziato un giro di consultazione con tutti i partiti per comprendere le loro idee al proposito. E sappiamo già come andrà a finire: avranno idee diverse e, così le rappresenteranno, inconciliabili. E via daccapo.

Ma venendo ai due temi, di cosa parliamo e, soprattutto, c’è qualcosa che dovremmo sapere a riguardo? Certamente sì.

Ad esempio, il presidenzialismo (più realisticamente, il semipresidenzialismo sul modello francese) dovrebbe garantire al governo quella stabilità che, in Italia, non ha mai avuto. Rimane storica la frase di Helmut Kohl che, salutando Romano Prodi, gli disse: “tutto molto bene. Mi chiedo però chi ci sarà la prossima volta…”. Aveva ragione: la volta successiva si incontrò con D’Alema.

Il modello semipresidenziale – che è quello di cui maggiormente si discute – si basa però sulla trasformazione del Capo dello Stato da organo di garanzia, espressione dell’unità nazionale, attento difensore della nostra costituzione a uomo di parte, a capo del governo, dell’esecutivo.

Ci conviene davvero archiviare l’unica istituzione del nostro Paese che gode di ampia e piena legittimazione, che è amata e apprezzata da larga parte della popolazione?

La risposta è no, soprattutto perché altri correttivi sarebbero più semplici. In Spagna ed in Germania – lasciamo da parte la Gran Bretagna che ha una storia politica diversa dalla nostra – Primo ministro e Cancelliere godono di prerogative che gli consentono di beneficiare di grande stabilità senza confondere i ruoli di Capo dello Stato e di quello del Governo.

Dunque, che fare? Personalmente, prima di ricorrere al semipresidenzialismo, batterei tre strade:

  1. Superare, finalmente, il bicameralismo paritario: una sola camera – nel nostro caso la Camera dei Deputati – deve votare la fiducia al governo e deve avere l’ultima parola sull’approvazione delle leggi;
  2. Un Presidente del Consiglio che non sia più un primus inter pares, che goda del potere di revoca e sostituzione dei ministri, che ottenga, solo lui o solo lei, la fiducia dal Parlamento, che ottenga un mandato popolare chiaro;
  3. Introdurre lo strumento, presente sia in Spagna che in Germania, della sfiducia costruttiva: il governo può perdere la fiducia parlamentare solo se il parlamento è riuscito a formare una nuova maggioranza che possa sostituire la precedente;

In questo modo, eviteremmo di perdere il nostro Presidente della Repubblica che, se anche dovesse rimanere solo a tagliere nastri, per un Paese come l’Italia avrebbe un peso specifico enorme.

Sull’autonomia differenziata il discorso è il seguente: sulla base dell’articolo 116, un accordo tra Stato e singola regione può portare ad attribuire a quest’ultima ulteriori ventitré materie da gestire in autonomia.

Si va dall’approvvigionamento energetico ai programmi scolastici, da più ampi margini di autonomia in materia di sanità fino alla possibilità di discutere con l’Unione europea. E tutto questo senza prevedere una disciplina stringente dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni.

E senza i LEP si ricorre alla spesa storica: vale a dire che la Calabria – che ha sempre ricevuto meno – continuerà a ricevere meno, vedendo esacerbarsi problemi che già da soli sono sufficienti.

Non può esistere autonomia differenziata senza LEP e non può esistere autonomia differenziata su tutto lo scibile umano. Si individuino delle aree ben perimetrate e a tutte le regioni si attribuiscano gli adeguati fondi per occuparsene.

Diversamente preferiamo rimanere, seppur nelle nostre mille ambiguità, “una e indivisibile”.

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