
di Pierre De Filippo-
All’Assemblea Nazionale di Azione, che si è tenuta sabato 28 ottobre al Teatro Eliseo a Roma, la ministra per le Riforme, Casellati, invitata per l’occasione, aveva parlato di una “piacevole sorpresa” che sarebbe venuta fuori dal Consiglio dei Ministri, che si sarebbe tenuto il venerdì della settimana successiva, il 3 novembre.
Il Consiglio dei Ministri ha infatti licenziato, approvandolo all’unanimità, il disegno di legge che modifica il nostro impianto istituzionale. Ritorna il mito delle riforme costituzionali, quelle contro le quali sono sbattuti personaggi ingombranti e un pizzico egocentrici come Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Non a caso, Giorgia Meloni l’ha definita la “madre di tutte le riforme” ed ha subito chiarito che se le cose dovessero andare male, questo non pregiudicherebbe la sopravvivenza del suo governo. Renzi, in questo caso, ha fatto scuola: guai ad imitarlo.
La madre di tutte le riforme, che interviene nel giorno in cui si dimette il consigliere diplomatico della Premier Talò, a seguito dello scherzo di cui Giorgia Meloni è stata vittima, e della distruttiva alluvione in Toscana, è un pasticciaccio senza capo né coda.
Una sorta di minestrone sovranista: un po’ di questo e un po’ di quello, in salsa italianeggiante.
È un pasticciaccio per più di un motivo. Primo, perché davvero non coglie quelle che sono le esigenze italiane, perché si concentra sulla prognosi – con proposte discutibili – e non sulla diagnosi, cioè su ciò che davvero servirebbe, su quelle che sono le nostre criticità. Secondo, perché è una proposta “politica”, una di quelle che servono a mantenere o far accrescere il consenso. Terzo, perché è totalmente slegata dalle altre proposte in materia di “regole del gioco”, dall’autonomia differenziata alle elezioni provinciali.
Ma procediamo con ordine.
Tre sono i perni attorno ai quali ruota questa riforma: elezione diretta del Presidente del Consiglio, norma anti-ribaltone, eliminazione dei Senatori a vita.
Partiamo dal primo: l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Cosa significa? Significa che, sulla scheda elettorale, il cittadino dovrà indicare esplicitamente un candidato a Palazzo Chigi, un leader, una persona. E che questa, poi, si “tirerà dietro” il Parlamento e la sua composizione. Come se il Parlamento fosse il Consiglio comunale del più piccolo e sperduto paese italiano e non il luogo nel quale si esercita il potere legislativo. Per ottenere ciò – che è già, di per sé, una forzatura – il disegno di legge a firma Casellati prevede di imporre una legge elettorale fortemente maggioritaria che attribuisca il 55% dei seggi alla lista o alle liste che sostengono quel candidato Premier.
Due obbrobri. Primo, tutto ciò avverrebbe senza dover necessariamente raggiungere una percentuale minima di voti (applicandolo alle ultime elezioni, Fratelli d’Italia, col 26% dei suffragi, avrebbe preso il 55% dei seggi. C’è qualcosa che non va). E dire che la Corte costituzionale aveva già cassato una precedente norma di questo tipo.
In secondo luogo, la volontà di inserire il riferimento alla legge elettorale in Costituzione (per renderne più difficile una sua modifica). Cosa rispetto alla quale i costituenti avevano ragionato e poi, con saggezza, avevano stabilito che forse era preferibile evitarlo.
L’elezione diretta del Premier non può non incidere sui poteri del Presidente della Repubblica, checché se ne dica dalle parti di Palazzo Chigi.
Due punti, su questo tema. Il primo è che il Presidente della Repubblica, a questo punto, godrebbe di una legittimazione ben inferiore rispetto a quella del Presidente del Consiglio (maggioranza dei parlamentari contro indicazione diretta da parte dei cittadini). E, di conseguenza, perderebbe la possibilità di nominarlo, di portare avanti quel giro di consultazioni utile a trovare la soluzione più adatta.
Secondo pilastro: la norma anti-ribaltone. Che ben descrive come e perché è stato pensato, impostato e scritto questo disegno di legge. L’obiettivo annunciato? “Mai più governi tecnici”. Come se qualcuno ce li imponesse. La verità è che, in Italia, i governi tecnici si sono susseguiti quando la politica è entrata in un cortocircuito, quando ha progressivamente perso di autorevolezza e di resilienza, quando è diventata un unico, enorme circo.
Ma il messaggio che deve passare è: mai più governi tecnici. Quelli voluti dai poteri forti, dalle altre cancellerie europee, d’accordo col Quirinale e coi banchieri. Questo il sottotitolo.
Non proseguo la descrizione del meccanismo qualora il Premier eletto dovesse perdere la fiducia del Parlamento semplicemente perché non ne vale la pena.
Terzo punto: stop ai Senatori a vita. Perché? Perché solitamente sono quelli che intervengono al Senato sostenendo o salvando governi di sinistra. Questa è la verità ed è il motivo per cui vengono fatti fuori.
Modificare le regole del gioco per motivi politici è un rischio enorme.
Questa proposta non otterrà il voto favorevole dei due terzi del Parlamento e quindi certamente sarà sottoposta a referendum. E lì si aprirebbe un’altra partita.
Questa riforma è un pasticciaccio perché non risponde a nessuna delle nostre esigenze, perché non risolverebbe nessuna delle nostre criticità, perché è lontana anni luce da ciò di cui avremmo bisogno. Cose che ho indicato qui – valutazioni soggettive, s’intende – e alle quali rimando.
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