Verso “un vero senso di appartenenza”-
A Salerno ha avuto i primi incarichi scolastici subito dopo la Laurea e, proprio a Salerno, presso l’Aula Magna del Liceo Tasso, ha tenuto una Lectio Magistralis dal titolo “Il rigurgito dei Nazionalismi sopiti in Europa oggi”: parliamo del Professore Giovanni Sabbatucci, tra i maggiori studiosi del Ventennio Fascista, allievo di Renzo De Felice, ordinario di Storia Contemporanea presso La Sapienza di Roma. Sabbatucci, nell’incontro organizzato dalla Preside Santarcangelo, con l’apporto di Stefano Pignataro, Presidente del Consiglio degli Studenti del Dipsum-UNISA, alla presenza del vice sindaco Eva Avossa, si è soffermato sul “nazionalismo” con tutte le implicazioni che questo concetto ha prodotto fino ai nostri giorni. Questo termine, derivato dalla parola “nazione”, dal latino “natio”, esprime il concetto di nascita, origine, patria, Terra dei Padri e, come tutti gli “ismi,” ha un significato per lo più peggiorativo.
“Se il nazionalista pensa alla propria Nazione escludendo il resto” afferma Sabbatucci, “ la Nazione è qualcosa che ha un legame fisico con la terra; noi tenderemmo invece a privilegiare il concetto di nazione come un qualcosa che si sceglie. Oggi vediamo emergere slogan e personaggi che si oppongono sempre più all’Europa, allo sviluppo del progetto europeo, in nome del primato della sovranità nazionale, Trump parla dell’America come America first.” Nazionalisti, populisti, sovranisti innanzi alla crisi dell ‘ economia globalizzata sembrano evocare gli anni ‘30 della Grande Crisi, essendo nate entrambe dallo scoppio di una bolla speculativa, ma, per Sabbatucci, il fenomeno a cui stiamo assistendo è inedito, “non vi sono visioni basate su analogie rispetto alla crisi degli anni ’30, pur possiamo parlare di “Democratura”, crasi tra democrazia e dittatura”.
Lo storico ha parlato dell’autoritarismo che poggia sui risultati elettorali, “rispetta lo stato di diritto ma ne vìola lo spirito”. Il “regime forte” viene così percepito come difesa da pericoli esterni, difende i confini, il benessere, il popolo stesso.
“La storia non ha frecce che indicano la direzione, i processi storici non sono mai rettilinei, ma pieni di svolte tortuose con battute d’arresto. Non si tratta dunque di fare previsioni, ma capire come un certo fenomeno sia nato e come può evolvere. Il Nazionalismo non nasce dalla rivendicazione di un diritto, nasce come fenomeno reattivo, reazione difensiva. Tutto dipende dalla Globalizzazione che ha sconvolto vecchie gerarchie, provocato bruschi cambiamenti e sconcerto dal punto di vista psicologico, effetti non positivi quali disoccupazione e delocalizzazione. Si chiede aiuto allo Stato diffidando delle autorità sovranazionali.”
“ In questo contesto gli Stati hanno sempre minori risorse per le politiche sociali. Si ha perdita di status, di reddito, crollo delle aspettative. Oggi i migranti portano anche una nuova forza lavoro. Non che il numero sia potenza, come diceva Mussolini, ma l’afflusso di nuovi consumatori è un ingrediente essenziale di un Paese in crescita che consuma, che produce. Che altre culture, identità possano minacciare le nostre identità nazionale può essere vero. Dobbiamo gestire tutto ciò perché non possiamo fermarlo. La storia del mondo è una storia di spostamenti ed emigrazioni. Nella speranza degli europeisti di ieri e di oggi, l’integrazione europea è l’antidoto alla rinascita dei nazionalisti, lo scopo dei Padri Fondatori del Manifesto di Ventotene.” Risale, infatti, al 1941 questo manifesto scritto “per un’ Europa Libera e Unita” in cui vengono tracciate le linee guida di quella che sarà la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
“Il superamento dell’idea di Stato Nazionale: questa era l’utopia dei Padri Fondatori”, ricorda Sabbatucci. “L’Unione Europea è paragonabile ad una bicicletta che deve per forza procedere. E’ il momento di fermarsi, non di scendere, capire quale strada si vuole imboccare … Per me si deve abbandonare l’idea della Nazione Europea che inglobi identità perché sono troppo diverse le tradizioni e le lingue. Bisogna pensare all’Europa come ad una nazione più grande rispetto ai pezzi che la compongono. Io vedrei un organizzazione che comprenda tutti i Paesi europei, che non pretenda di avere le forme geometriche dello Stato; una formazione asimmetrica, semmai a più velocità, con diversi trattati, diverse modalità di adesione. Serve una sorta di geometria variabile. Solo in questo modo si potrà creare un senso di appartenenza. L’Europa ne ha parecchia di strada da fare. Vi è l’emergenza del terrorismo che non nasce in Europa, ma la coinvolge. Bisogna che il clima cambi, che i flussi migratori ritornino fisiologici. Paure e frustrazioni continuano ad alimentare il Nazionalismo per la spartizione di una torta che rischia di farsi sempre più piccola…”
Claudia Izzo