
di Pierre de Filippo-
Le elezioni in Italia si sono concluse ed il nuovo governo si è insediato ma tutto si può dire – al netto dei festeggiamenti e degli atti di giubilo e di ipocrita sorpresa che resisteranno ancora per un po’ – che questo risultato non rappresenti uno sconvolgimento, destabilizzante, per gli equilibri consolidati e il futuro dell’Unione europea.
Non bastano sei mesi “draghiani” per far dimenticare dieci anni “meloniani” – fatti di euroscetticismo e di populismo di destra – né agli osservatori, nazionali ed internazionali, né tantomeno ai mercati, sempre attenti a scrutare ciò che accade nella sconclusionata penisola.
Ma anche altrove sta succedendo qualcosa di non poco conto.
La Premier inglese Liz Truss, dopo soli quarantacinque giorni, una manovra economica folle ed il licenziamento del suo Cancelliere dello Scacchiere, il nostro Ministro dell’Economia, ha rassegnato le sue dimissioni.
Per la successione? Il nome in pole position è quello di Rishi Sunak, che ha retto l’economia sotto Johnson.
Sabato 22 ottobre si è concluso il XX congresso del Partito Comunista Cinese.
Il XX congresso in ambito comunista non è che porti granché bene – basti pensare a quello sovietico nel 1956, che sputò fuori le malefatte del potere staliniano e che, in direzione ostinatamente congruente, spedì i carrarmati sovietici a Budapest, e a quello italiano che, nel 1991, cestinò il PCI e vide sorgere la “cosa” di sinistra, il Pds – per capire che le sfide, per Xi Jinping, erano più d’una.
Ed invece la sfinge asiatica ne è uscita da trionfatore: terzo mandato consecutivo, prima volta nella storia, un Politburo totalmente alle sue dipendenze ed un potere essenzialmente illimitato e senza fine. Una vittoria su tutti i fronti che garantisce stabilità politica al gigante cinese e ci fa porre una domanda: dopo aver tergiversato in questi mesi, che posizione prenderà ora Xi nella guerra russo-ucraina? Dalla risposta a questa domanda può risultare più chiaro il nostro futuro, quello delle nostre economie e delle nostre democrazie.
Ma – come se la storia non fosse il continuo ripetersi di esperienze ed eventi – da quella ucraina, dal congresso cinese, si apre, forte, impetuosa, la paura per un nuovo conflitto: le parole di Xi su Taiwan sono state chiarissime e lapidarie: con la forza o meno, Taiwan non sarà mai indipendente, Xi l’ha fatto scrivere in Costituzione come a dire che scripta manent.
Il 30 ottobre, poi, si terrà l’atteso ballottaggio in Brasile.
Lo scontro, come si sa, è tra il presidente uscente Jair Bolsonaro, uomo di destra radicale e populista, e Inacio Lula, già presidente del Partito dei Lavoratori e quindi all’estrema sinistra dell’arco costituzionale.
Una sfida tra estremi che può segnare le sorti del grande Paese sudamericano, stretto nella morsa della crisi covid e di quella economica, che Bolsonaro ha finito per esasperare con le sue misure, un po’ come la Truss.
Dove penderà il “polmone verde del mondo”? Verso il disboscamento ed il negazionismo o verso la tutela dell’ambiente?
Che direzione prenderà una delle più promettenti economie dei Paesi in via di sviluppo? Verso il populismo di destra o verso il radicalismo di sinistra?
Tempo ventiquattro ore e martedì 1 novembre si vota, per la quinta volta in due anni, in Israele. Che rappresenta sempre uno snodo cruciale per le sorti del Medio Oriente e, quindi, per quelle della stabilità internazionale.
Nonostante il sistema elettorale totalmente proporzionale renda difficile governare con tranquillità, questa volta lo scontro sarà molto polarizzato: da una parte, per l’ennesima volta, Bibi Netanyahu, della destra israeliana e sordo a qualsiasi tipo di compromesso, territoriale e diplomatico, coi paesi limitrofi; dall’altra, l’attuale Primo Ministro Yair Lapid, favorevole alla soluzione “dei due Stati” e ad una più completa pacificazione dell’area.
In ultimo, l’8 novembre ci saranno le fondamentali elezioni di Midterm negli Stati Uniti, in cui si rinnoverà per intero la Camera dei Rappresentanti ed un terzo del Senato.
Anche qui, le sorti delle elezioni segneranno quelle del Paese: ad oggi, si prospetta un vantaggio repubblicano alla Camera ed un sostanziale pareggio al Senato, nulla che possa far stare tranquilla la navigazione del traballante Biden.
Con Trump che attende, nonostante i suoi guai per Capitol Hill, le presidenziali del 2024.
Nel giro di qualche settimana, la direzione del sentiero che il mondo sta per prendere ci apparirà molto più chiaro. C’è solo da aspettare
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