Come e perché il governo è intervenuto sui bonus edilizi

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di Pierre De Filippo-

A sentire il ministro dell’Economia e della Finanze Giancarlo Giorgetti, il costo complessivo dei bonus edilizi – col Superbonus al 110% a fare la parte del leone – è arrivato a toccare la mostruosa cifra di circa 120 miliardi di euro, duemila euro per ogni italiano, dalla sala parto ad un attimo prima di quella mortuaria, verrebbe da dire.

Un costo che è lievitato di circa 50 miliardi rispetto a quanto preventivato inizialmente e che ha imposto al governo di correre ai ripari bloccando due degli strumenti in precedenza messi a disposizione: lo sconto in fattura e la cessione del credito. Rimangono valide le detrazioni fiscali, spalmate su più anni, anche per il superbonus che, ad oggi, è al 90%.

Il vero problema è rappresentato, quindi, da questa marea di crediti che, secondo la disciplina su cui è intervenuto ora il governo, potevano essere venduti e rivenduti liberamente, creando una sorta di moneta parallela.

Il 20 luglio, proprio sul finire della sua esperienza governativa, Mario Draghi era stato chiarissimo nel sostenere che “voi sapete cosa ho sempre pensato: il problema non è il superbonus ma i meccanismi di cessione che sono stati disegnati. Chi ha disegnato quei meccanismi di cessione senza discrimine e senza discernimento è lui, o lei, o loro i colpevoli di questa situazione in cui migliaia di imprese stanno aspettando i crediti. Ora, bisogna riparare al malfatto, bisogna far uscire dal pasticcio migliaia di imprese che si trovano in difficoltà”.

Ma prima di buttarci nell’agone politico con botte e risposte continue tra i leader, cerchiamo di capire cosa è successo e perché il governo è dovuto intervenire con una rapidità ed una veemenza che, adesso, le associazioni di categoria stanno criticando.

Questa indiscriminata cessione di crediti fiscali ha comportato due, enormi problemi: il primo rappresentato da un valore, più che consistente, di crediti inesistenti. I crediti erano inesistenti ma i soldi incassati erano veri. Una frode che sarebbe arrivata a costare circa 6 miliardi di euro: la più corposa di tutta la storia repubblicana, che pure di momenti oscuri ne ha vissuti più d’uno.

Il secondo problema ha trovato conferma ufficiale pochi giorni fa, quando l’Eurostat, l’Istituto statistico europeo, ha affermato che, essendo i crediti nella immediata disponibilità di chi li possiede ed immediatamente esigibili nei confronti dello Stato, tutto il suo valore non poteva essere “ammortizzato” in più anni ma doveva ricadere sul bilancio del primo anno d’attività.

Una mannaia sulla nostra finanza pubblica.

Per questo il governo è dovuto intervenire così prontamente. Per evitare un salasso. E per evitare di disperdere quella prudenza economica che abbiamo tenuto faticosamente finora.

Immediate sono arrivate le reazioni, della politica e del mondo produttivo interessato. “Così il governo affossa famiglie e imprese in nome di non si sa quale ragione di Stato” afferma Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, l’Associazione nazionale costruttori edili, la cui voce si somma a quelle, altrettanto critiche, di Confartigianato, Confedilizia, Cna.

Ma è la politica che, naturalmente, si è scatenata mettendo in piazza accuse reciproche: Giuseppe Conte, il “lui” di Draghi disegnatore di questo meccanismo, è prontamente intervenuto difendendo la misura e attaccando il governo: “siamo di fronte ad una insopportabile ipocrisia delle forze di maggioranza. Tajani non può non sapere che nelle ultime settimane il suo partito, Forza Italia, ha portato avanti una serie di iniziative pro Superbonus e a difesa del meccanismo di cessione del credito. È una scorrettezza ai limiti della viltà, tanto più se si considera che la stessa Meloni, in campagna elettorale, esponeva cartelli con su scritto che avrebbero tutelato il superbonus e le categorie interessate”.

Qui Conte ha ragione: la politica tutta è stata miope nei confronti di questo strumento, le cui dannose potenzialità erano ben note. Ha ragione ed è, al tempo stesso, il primo tra i colpevoli.

Ha ragione anche nel chiedere spiegazioni a Forza Italia, dalla quale arrivano le prime bordate al governo sul provvedimento: “il tempismo è scellerato, serve un confronto in Parlamento” ha dichiarato Erica Mazzetti, forzista della commissione Lavoro.

Per il dem Orlando – ex ministro del Lavoro – così facendo si metterebbero in pericolo “900mila posti di lavori” mentre Calenda concorda col governo sulla necessità dell’intervento urgente, ritenendo il meccanismo col quale era stato costruito il superbonus “folle”.

Questo il quadro della situazione: uno strumento iper-generoso, senza grossi controlli, che ha incoraggiato le frodi e che rischia di pesare in maniera spropositata sulle nostre finanze pubbliche. Uno strumento appoggiato da molti (Cinque Stelle, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Forza Italia) e non abbastanza avversato dagli altri (Mario Draghi, Terzo Polo) che rappresenta un po’ la sineddoche di ciò che questo Paese pretende di ottenere senza chiedersi se sia possibile o meno. Poi, arriva la dura realtà e a tutti serve fare un bagno freddo. Ma nella vecchia vasca della nonna perché di soldi, per rinnovarla, proprio non ne abbiamo,

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