
di Pierre Di Filippo
La notizia era nell’aria ormai da giorni e, alla fine, è arrivata: Giorgio Napolitano, Presidente emerito della Repubblica italiana, è morto stasera all’età di 98 anni. Operato all’addome un anno e mezzo fa, le sue condizioni erano visibilmente peggiorate, fino alle notizie trapelate negli ultimi giorni che davano la fine ormai per imminente.
Napoletano atipico, classe 1925, parlamentare dal 1953, Napolitano ha attraversato i decenni e tutto ciò che li ha riempiti sempre con delle idee precise, spesso non convenzionali ma altrettanto spesso di grande lungimiranza.
In principio, furono i Gup, i Gruppi universitari fascisti. “La Resistenza è stata una cosa molto bella. Io non l’ho fatta, stavo nei Gup…” diceva spesso. Poi il passaggio a Via delle Botteghe oscure e l’elezione in parlamento al sorgere della seconda legislatura.
Fervente sostenitore di Togliatti – come tutti i comunisti, del resto –, giustificò l’invasione sovietica in Ungheria del 1956. “All’epoca o si stava di qui o si stava di lì della barricata”, spiegò in seguito, pentendosi della scelta.
Un napoletano atipico, silenzioso, riservato, schivo ma anche un comunista atipico. Antiberlingueriano, non ne condivideva la sua idea di “splendido isolamento”, che il leader sardo teorizzò all’indomani della fine della stagione del “Compromesso storico”.
No, lui credeva in un comunismo dal volto gentile, europeo e atlantista. Un migliorista, come si diceva all’epoca. Apprezzò l’avvicinamento di Berlinguer ai suoi convincimenti – dall’eurocomunismo con francesi e spagnoli alla famosa intervista in cui diceva di “sentirsi più protetto sotto l’ombrello della Nato” – ma gli imputò sempre di non aver fatto il passo decisivo, quello più coraggioso, quello più lungimirante, l’esperimento socialdemocratico.
Dai critici era visto come la quinta colonna di Craxi in seno al Pci, i rapporti tra i due si raffreddarono quando il leader socialista, alla sbarra durante Tangentopoli, si chiese retoricamente “come mai il Presidente della Camera [Napolitano era stato eletto sullo scranno più alto di Montecitorio nel 1992], che è stato per anni il ministro degli esteri del Pci, non si sia mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui…”.
Ma sarà Napolitano, e non Craxi, ad essere protagonista della Seconda Repubblica: è ministro degli Interni nel primo governo Prodi e con la collega Livia Turco scrive la prima legge veramente organica sull’immigrazione nel 1998, successivamente modificata dal governo di centrodestra nei primi anni Duemila.
Alla fine del 2005, Carlo Azeglio Ciampi lo nomina Senatore a vita e poco meno di un anno dopo, a causa del mancato accordo tra le due coalizioni, il centrosinistra lo elegge Presidente della Repubblica. Il primo comunista al Quirinale. Ed inizia la sua seconda, o forse terza vita.
Con la vittoria di Berlusconi del 2008 i rapporti tra i due rimangono buoni ma pieni di diffidenza: Napolitano critica Lodi e impedimenti più o meno legittimi mentre per Berlusconi rimane “il solito comunista”. Fino alla crisi del 2011: lo spread che sale, la pressione dei mercati, una manovra correttiva che correggeva poco e male e la nomina di Mario Monti a senatore a vita, un buon viatico per farlo traslocare subito a Palazzo Chigi, col suo governo “lacrime e sangue” – come in Italia chiamiamo tutto ciò che siamo costretti a fare dopo che, bellamente, abbiamo scialacquato tutto ciò che potevamo.
Re Giorgio, o forse un imperatore.
Pilota il governo Letta, quello di “larghe intese”, che cade sotto i colpi del Cavaliere prima e dell’ “Enrico stai sereno” di Matteo Renzi poi.
Ed è proprio col leader fiorentino che Napolitano riscopre una ennesima giovinezza politica: nel 2013, un Parlamento imbalsamato lo supplica di rimanere. Lui, nel discorso di insediamento, si lancia in una reprimenda senza pari, che viene applaudita dall’emiciclo, in pieno stile italico. E arringa: guai a non fare le riforme istituzionali.
Si assicura che la riforma Renzi prenda la strada del miglio finale e poi lascia, a quasi novant’anni. Lascia la presidenza della Repubblica ma non la politica, perché torna a fare il senatore a vita.
Ci sarebbe spazio, in questa breve biografia, per il suo sperato, inneggiato, favoleggiato coinvolgimento nella cosiddetta Trattativa Stato-mafia. Gli si farebbe un torto perfino se la si nominasse anche perché ci hanno pensato le alte magistrature a mettere una pieta sopra questa grande balla.
Con Giorgio Napolitano si chiude veramente un cerchio: quello di chi, in Italia, ha fatto Politica. Quella con la p maiuscola.
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