di Graziella Di Grezia
Poetessa statunitense del ventesimo secolo (1928-1974), Anne Sexton è una voce affascinante e complessa della poesia contemporanea.
Autodidatta, vinse il Premio Pulitzer per la poesia nel 1966, tenne conferenze ad Harvard e fu insignita di una cattedra alla Boston University.
Considerata icona della poesia confessionale, di fatto ha sempre trattato temi scomodi e controversi ad una platea di lettori convenzionali.
Molte delle sue opere non sono autobiografiche, ma descrivono la realtà in un alternanza di delicatezza estrema ed altrettanta nuda verità.
Amica e professionalmente rivale di Silvia Plath, muore suicida nel 1974, dopo diversi tentativi non riusciti.
La poesia che ho scelto per voi oggi tratta un tema cosi quotidiano da risultare addirittura ordinario nella sua singolarità:
… AL MIO AMANTE CHE TORNA DA SUA MOGLIE
Un invito a riflettere sulle difficoltà relazionali di coppia e sul senso di libertà estrema dell’ amore.
Un pensiero poetico sulle scelte e sulle non scelte, sulla solidità discutibile di relazioni socialmente definite e sulla fragilità delle relazioni indefinite.
C’è un garbo irriverente in questi versi che nasconde il dramma di un amore nascosto.
Rileggiamola e se non la conosciamo ancora, leggiamola insieme.
… AL MIO AMANTE CHE TORNA DA SUA MOGLIE- di Anne Sexton
Lei è tutta là.
Per te con maestria fu fusa e fu colata,
per te forgiata fin dalla tua infanzia,
con le tue cento biglie predilette fu costrutta.
Lei è sempre stata là, mio caro.
Infatti è deliziosa.
Fuochi d’artificio in un febbraio uggioso
e concreta come pentola di ghisa.
Diciamocelo, sono stata di passaggio.
Un lusso. Una scialuppa rosso fuoco nella cala.
Mi svolazzano i capelli dal finestrino.
Son fumo, cozze fuori stagione.
Lei è molto di più. Lei ti è dovuta,
t’incrementa le crescite usuali e tropicali.
Questo non è un esperimento. Lei è tutta armonia.
S’occupa lei dei remi e degli scalmi del canotto,
ha messo fiorellini sul davanzale a colazione,
s’è seduta a tornire stoviglie a mezzogiorno,
ha esposto tre bambini al plenilunio,
tre puttini disegnati da Michelangelo,
l’ha fatto a gambe spalancate
nei mesi faticosi alla cappella.
Se dai un’occhiata, i bambini sono lassù
sospesi alla volta come delicati palloncini.
Lei li ha anche portati a nanna dopo cena,
e loro tutt’e tre a testa bassa,
piccati sulle gambette, lamentosi e riluttanti,
e la sua faccia avvampa neniando il loro
poco sonno.
Ti restituisco il cuore.
Ti do libero accesso:
al fusibile che in lei rabbiosamente pulsa,
alla cagna che in lei tramesta nella sozzura,
e alla sua ferita sepolta
– alla sepoltura viva della sua piccola ferita rossa –
al pallido bagliore tremolante sotto le costole,
al marinaio sbronzo in aspettativa nel polso
sinistro,
alle sue ginocchia materne, alle calze,
alla giarrettiera – per il richiamo –
lo strano richiamo
quando annaspi tra braccia e poppe
e dai uno strattone al suo nastro arancione
rispondendo al richiamo, lo strano richiamo.
Lei è così nuda, è unica.
È la somma di te e dei tuoi sogni.
Montala come un monumento, gradino per gradino.
lei è solida.
Quanto a me, io sono un acquerello.
Mi dissolvo.