Una Salerno così non si era mai vista

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Ore 11:44, un comune giovedì lavorativo, “ora di punta” in pieno centro.

Una città di fatto morta dentro se solo paragonata alla Salerno di qualche anno fa quando in giorni come questi non c’era spazio neanche per attraversare la strada, tanto il traffico e la gente in giro, e soprattutto esercizi commerciali di ogni genere, bar, ristoranti, tutti aperti e semipieni. La vita era palpabile in ogni angolo, in ogni via e le persone che s’incontravano avevano almeno una parvenza di tranquillità ed un accennato sorriso, nonostante problemi personali che non intaccavano la fiducia nel futuro.

COVID ? No, o non solo. Le radici di questo costante declino sono ben più profonde ed affondano in un terreno una volta fertile, ma per troppo tempo rimasto senz’acqua, senza un’idea di futuro, di qualità della vita, di efficienza dei servizi e di qualità dei prodotti offerti per chi non vuole uscire fuori città per poter mangiare e fare shopping. Eccezion fatta per i pochi esercenti che ancora resistono.

E pensare che Salerno era una antica città di mercanti, con una sua forte identità storica e culturale che sarebbe potuta diventare un fiore all’occhiello di un Sud appiattito sul  “borbonismo” imperante dal quale abbiamo preso il peggio e non il meglio.

Cosa è rimasto di “salernitano” a Salerno, a parte il Duomo, San Matteo e la Salernitana ?

Poco o nulla se non la trasformazione urbanistica (nota positiva) pagata però a caro prezzo politico e commerciale; Luci D’Artista una magra consolazione, anch’essa in declino perché emblema di una città che “non innova” e lascia morire le cose finché non viene qualcuno dall’esterno che trae profitti da ciò che i salernitani hanno abbandonato, o sono stati costretti ad abbandonare, offrendo bassa qualità

E la politica in tutto ciò ?

Se da una parte è stata attiva sul fronte dello sviluppo edilizio, dall’altro si è adagiata senza una visione di una Salerno futura sul piano sociale, culturale e soprattutto occupazionale.

Avevamo una miniera d’oro tra le mani, oggi abbiamo una città che una volta anelava ad essere “Europea” ma che di europeo ha soltanto la collocazione geografica.

Come tanti salernitani ho rabbia per ciò che vedo ed allo stesso tempo tristezza perché non rivedrò mai più la Salerno in ascesa di una volta e la gente unita sotto una sola bandiera: l’orgoglio per la propria città, senza distinzione di colori politici. Anche il confronto tra cittadini di vedute differenti era infatti costruttivo, sebbene aspro ed intenso, ma poi ci si ritrovava sempre tutti agli eventi e ci si salutava con rispetto e cordialità perché ciò che legava tutti era lo sviscerato amore per una città che manteneva uniti anche il diavolo e l’acqua santa.

Ho anche provato personalmente ad arrivare al Comune, con scarsi risultati e non me ne vergogno affatto perché il mio intento era quello di portare questo spirito a Palazzo di Città per provare a riunire ciò che era a pezzi e ripartire insieme, rossi, neri, bianchi, gialli ed azzurri per riprendere una città sul fondo del fossato a farla risorgere per poi puntare a futuri successi.

Nulla di tutto ciò. Lo spettacolo continua ed assistiamo ad una lenta agonia occupazionale, sociale ed una morte della “salernitanità” che difficilmente riaffiorerà anche tra i più accaniti sostenitori della Città. Almeno il nome resterà, sempre se non ci faremo togliere anche quello.

 

 

 

 

 

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