Finalmente aria fresca in fotografia. Un reportage nuovo e diverso da quello cui siamo abituati.
Navigando in rete alla ricerca sempre di cose che in qualche modo stimolino il mio occhio, mi sono imbattuto in un lavoro potente ed efficace che voglio segnalarvi.
È un progetto dove non troverete foto accattivanti o belle modelle, non è un progetto dove vengono messi in mostra bei corpi suadenti. No, questo lavoro è un vero e proprio pugno nello stomaco che dietro una velata ironia ci cala nel drammatico e attualissimo mondo in cui viviamo.
Alzi la mano chi di voi non ha mai trovato nella sua cassetta delle lettere una di quelle riviste promozionali di agenzie immobiliari. Ne siamo invasi. Tutto merito della crisi che ha costretto molti a mettere in vendita proprietà e beni di famiglia, per poi rendersi conto che anche gli appartamenti più accattivanti non trovano facilmente compratori. Intanto sono molti a provarci ed ecco giustificata la grande quantità di opuscoli e cataloghi del settore immobiliare, come se chi ricevevesse a casa uno di questi opuscoli potesse facilmente aprire il portafogli e comprare la casa dei sogni. Sogni appunto! È da questa riflessione che, secondo me, parte l’idea di Marco Tiberio e del suo studio.
Creare una finta rivista immobiliare per mostrare la “bellezza” (quanta splendida ironia è nascosta in questa parola) delle baracche dei campi profughi.
Sono stato molto colpito dall’idea e dall’intelligenza con cui questo lavoro è stato realizzato. Ripeto, qui la bellezza o meno degli scatti non conta. Qui ci troviamo di fronte ad un’idea forte, chiara, che immerge con forza nel campo profughi di Calais in Francia. Questa infatti è la location scelta per realizzare il finto “catalogo”. Tale è il formato, e quindi è difficile definirlo libro.
Grazie alla rete sono entrato in contatto con Marco Tiberio ed ho voluto intervistarlo,a distanza, per capire meglio quello che ha realizzato. Ecco cosa ha detto.
Parlami di te e cosa fai nel mondo della fotografia e della comunicazione
Insieme a Maria Ghetti ho fondato Defrost Studio, agenzia creativa attraverso la quale abbiamo pubblicato ImmoRefugee. Quindi se non è un problema spesso risponderò al plurale, come Defrost.
Sono sì un fotografo, ma faccio comunque un po’ fatica a definirmi tale. Più che altro mi piace lavorare su progetti che ruotano attorno all’immagine, siano esse mie o trovate in giro, soprattutto in internet e per questo non ho né una forma ne un tema preferito, anche se solitamente mi piace lavorare in serie. Diciamo che mi piace guardare al mondo e alle persone che ci circondano con occhi diversi e con ironia. Inoltre mi piace lavorare anche con altri mezzi, video, installazioni, ecc.
Come nasce l’idea di ImmoRefugee?
Dal gennaio 2015 ho frequentato spesso il campo di Calais. Si trattava di una vera e propria città pulsante e vivente nel centro dell’Europa ma quasi invisibile allo stesso tempo. Così insieme a Maria abbiamo voluto raccontare la storia di questa città, parlando delle persone che la abitavano attraverso le loro case, più che mai simbolo di una cultura e di un’aspettativa propria di ogni inquilino.
Stanchi però della solita retorica sensazionalistica dei giornali e della fotografia documentaristica in generale, ormai più attenta alle vendite che ad altro, abbiamo pensato di fare qualcosa di diverso e ironico, ma che potesse comunque raccontare la verità. Pur rimanendo coscienti che ciò avrebbe potuto attirare delle critiche. Cosi è nato ImmoRefugee.
Quando ho letto del tuo lavoro e ho visto qualche scatto non mi è stato chiaro se fossi di fronte ad un lavoro fotografico o a qualche altra cosa. Tu come lo “classificheresti”?
Classificarlo è un po’ difficile anche per noi. Sicuramente è un lavoro fotografico, dato che all’interno siamo riusciti a mettere quasi 80 foto, ma magari abbiamo più difficoltà a chiamarlo libro. Ma il fatto che non sia catalogabile non ci dispiace.
Campi di rifugiati purtroppo sono tanti in giro per l’Europa: perché hai scelto di parlare di Calais?
Può sembrare stupido, ma inizialmente abbiamo scelto Calais semplicemente per la vicinanza a Bruxelles, dove viviamo. Con il passare del tempo però abbiamo scoperto ciò che lo ha reso un campo per rifugiati unico in Europa. In realtà infatti, più che un campo era una vera propria città, organizzata per quartieri divisi in etnie e funzioni. Una città di quasi 7000 abitanti nel cuore dell’Europa, nata dal nulla.
Quanto tempo ci è voluto per realizzare questo lavoro?
Il lavoro è durato quasi due anni. Cominciato nel gennaio 2015 con il lavoro fotografico e concluso con la pubblicazione nel novembre 2016.
Pensi di portare in giro una mostra basata su ImmoRefugee?
In questo momento stiamo proprio realizzando la mostra che speriamo di riuscire a portare ad Arles, durante il festival della fotografia, ma al di fuori dello stesso. L’idea è di ricreare un’agenzia immobiliare in tutto e per tutto dove poter mettere in evidenza le foto e creare un’esperienza un po’ straniante per i visitatori. Per questo abbiamo lanciato un crowdfunding che speriamo possa andare a buon fine www.kisskissbankbank.com/projects/immorefugee-the-agency
Hai incontrato ostacoli nel realizzare questo lavoro? Raccontarci qualche episodio.
In realtà il lavoro fotografico nel campo è filato piuttosto liscio. Anzi abbiamo ricevuto aiuto dai migranti, che spesso erano anche molto contenti che ci concentrassimo sulle case da loro costruite e non sempre e solo su loro stessi. Più che altro, una volta uscito il libro, diversi si sono rifiutati di scriverne, perché magari un po’ estremo (ad esempio il direttore di un quotidiano francese lo ha definito un libro di estrema destra). Avremmo preferito che chi si è rifiutato di parlarne ne avesse scritto in maniera negativa magari, perché è sempre bene il fatto che un libro possa creare una discussione o una discordanza di pareri, ma in realtà nessuno lo ha fatto. Diciamo che le critiche negative, sono sempre e solo state affidate a Facebook. Il che è un peccato.
Prossimi progetti?
Abbiamo progetti che stanno cominciando a nascere, sia come studio che come progetti personali per entrambi, ma con l’organizzazione della mostra per ora è tutto in stand-by. Quindi diciamo che per ora quello è il progetto principale!
Un ringraziamento a Marco Tiberio per la sua disponibilità e molti complimenti per aver dato corpo ad una grande idea di comunicazione e una grande “idea” fotografica.
Cercatelo questo “catalogo” e compratelo, ImmoRefugee merita davvero molta attenzione.
Umberto Mancini