di Graziella Di Grezia
Fabio in quella casa ci era cresciuto.
La mamma, la zia, la nonna, le prozie; non si contavano le persone che passavano, vivevano, andavano e rientravano.
Una porta che si apriva e si chiudeva di continuo, citofono e campanello e poi caffè. Abbondante liquido nero da offrire ai presenti a qualsiasi ora e macchinette fumanti che la signora Lia teneva sempre pronte. Almeno sei tazze e spesso non erano sufficienti.
E poi lentamente uno per volta uscirono di scena e da quella casa e le sei tazze diventarono anche troppe per i presenti.
Passarono a quattro e poi a due.
In pochi anni una casa di riposo e un trasferimento, una separazione e un funerale e lui in quella casa si ritrovò solo.
Con la signora del caffè e troppe tazze vuote nella credenza. E zuccheriere troppo grandi da svuotare. La signora pensò bene di regalargli una macchinetta per una tazza e lo salutò. Ormai non avete più bisogno di me. Passo il martedì e il giovedi a fare le pulizie, quando non ci siete e la casa la trovate come nuova. Io me ne torno in paese, da mia sorella.
Ma dopo un po’ lui non poteva resistere da solo in quel barattolo vuoto con i vetri ben lavati.
In quella casa ci fece entrare una donna.
Era l’ unica, tra le sue frequentazioni superficiali che non gli telefonava la domenica mattina e l’unica che non gli aveva chiesto dove abitasse.
Una permanenza da camera d’albergo, una colazione con caffelatte e poco altro.
Perché di suo non ci lasciasse neppure lo spazzolino.
Un fantasma in quel barattolo ce lo aveva messo con sapienza, eleganza e la lentezza dello dell’indecisione maschile e della riservatezza senza senso di un uomo solo.
Ma il giorno del suo compleanno lei il barattolo se lo aprì da sola.
Un vaso di Pandora troppo amaro per una donna minuta e delicata come lei.
Nel doppio fondo del barattolo viveva Fabio, l’uomo che il caffè lo detestava.
E per questo lui non aveva dovuto neppure cambiare la macchinetta.
Ma Fabio non era un fantasma, in quella casa ci viveva dal giorno in cui era rimasto davvero solo, come la presenza costante di un basso continuo da clavicembalo un amore troppo scomodo per lui, ma troppo attraente e combaciante come il barattolo del suo tappo.
Se lei era il fantasma, Fabio era l’ombra, di un uomo troppo noto e troppo solo.
E quando lei entrò lui non c’era.
Fabio la accolse come l’alter ego di un amore troppo nascosto, come la trasparenza di un vetro non visibile e la profondità di un desiderio mal celato.
Non ci furono imbarazzi, né fili della gelosia.
Una macchinetta, una tazza, un caffè a metà.
Non ci furono domande né presentazioni.
La torta la mise sul tavolo della cucina e aprì la scatola di cartone arancione:
“Buon compleanno”.
Il tempo che Fabio la leggesse e già la prima fetta nel piatto. E poi una seconda.
E in quel momento un fantasma e un’ombra divennero l’ amore uscito da un barattolo e rientrato in un caffè a metà.
Mezzo caffè.