-di Giuseppe Esposito-
Lunedì rientro dal mio viaggio a Barga, un piccolo borgo della Garfagnana che conoscevo solo di nome. L’occasione del viaggio è nata dalla designazione del mio romanzo più recente tra i finalisti di un premio letterario assai prestigioso. La serata finale del concorso si teneva nel Teatro dei Differenti, posto nel centro del nucleo antico del borgo.
È Barga il centro più popoloso della Garfagnana, posto nella Media Valle del Serchio e considerato tra i borghi più belli d’Italia. Sorge sulla cima del colle Remeggio, ad una quota di circa 400 metri. Tra il XV ed il XVII secolo fu soggetto ai Medici, signori di Firenze cui forniva molte materie prime importanti. Per questo motivo ebbe in quel tempo una notevole fioritura commerciale ed una notevole floridità economica. Cosa ancor oggi testimoniata dai bei palazzi che ancora fiancheggiano le sue strette vie. Tutto in Barga è rimasto intatto, come cristallizzato al tempo del suo periodo migliore. Varcare la porta che, aperta nelle antiche mura, immette nella cittadina, è come varcare una frontiera temporale e ci si ritrova in un’atmosfera sospesa, d’altri tempi.
Al nostro arrivo, nel pomeriggio di venerdì lungo quelle antiche ed anguste strade non vi era anima viva. I nostri passi risuonavano nel silenzio e persino l’albergo, dove avevamo prenotato una camera non era presidiato. Per potere entrare abbiamo dovuto chiamare al cellulare gli addetti alla reception. Verso sera siamo usciti per una passeggiata, e con le tenebre l’atmosfera si era fatta ancor più spettrale. Solo qualche locale era aperto. Le botteghe chiuse, le finestre sulle facciate dei bei palazzi antichi sbarrate e la pavimentazione resa scivolosa da una sottile e persistente pioggerella. Sembra che il nostro viaggio sia avvenuto nel mese dell’anno in cui minori sono, le presenze nel borgo. Esso ci aveva detto l’addetta all’accoglienza dell’hotel è frequentato soprattutto in estate e durante il periodo invernale, ma a partire dalla vacanze di Natale. Ma mentre passeggiavamo e l’eco dei nostri passi rimbalzava sulle facciate scure, altre parole sono riaffiorate alla mia mente. Erano quelle della poesia del Pascoli “L’ora di Barga” le cui prime strofe così suonano:
Al mio cantuccio donde non sento
Se non le reste brusir del grano,
il suon dell’ora vien col vento
dal non veduto borgo montano:
suono che uguale, che blando cade,
come una voce che persuade.
Tu dici, È l’ora. Tu dici, È tardi,
voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi
L’albero, il ragno, l’alpe, lo stelo,
cose che han molti secoli, un anno,
o un’ora e quelle nubi che vanno
E mentre le sue parole riaffioravano nella mia mente, ricordai che per quelle stesse strade più di un secolo prima era passato il poeta, Giovanni Pascoli.
Vi giunse intorno al 1895. L’insegnamento lo aveva costretto a vagare da un capo all’altro del paese, da Matera a Massa ed infine a Livorno. Sempre recando in cuore il desiderio di allontanarsi dalla città e da una società vittima ormai dell’alienazione. Era insomma alla ricerca di un suo buen retiro in campagna in cui dedicarsi serenamente alla poesia, ed alla critica letteraria.
A Livorno conobbe Giulio Giuliani insegnante al liceo di Pisa e Carlo Conti, amministratore del Convitto di San Giorgio dell’Ardenza, entrambi originari della Garfagnana. Venuti a conoscenza del desiderio del Pascoli, gli consigliarono di visitare Barga. Il borgo era allora assai difficile da raggiungere, poiché, allora come oggi, la ferrovia giunge fino a Lucca e da Lucca a Barga occorrevano cinque ore in carrozza. Un viaggio assai faticoso. Ma Pascoli non si lasciò scoraggiare ed a settembre del 1895 arrivò nel borgo sul colle di Remeggio e attraversò le sue strade ed i suoi dintorni. Rimase affascinato dai luoghi e prese in affitto la villa di campagna della famiglia Cardosi – Carraro. La casa era posta su un piccolo rilievo rispetto alla strada provinciale, nella contrada di Castelvecchio, a pochi chilometri da Barga. Nell’ottobre dello stesso anno avvenne il trasloco in quella che egli chiamerà poi la “bicocca di Caprara”, dal nome del colle su cui la casa sorge. Nel 1902, avendo deciso di non separarsi mai più da quel luogo, decise di acquistare la villa. Dovette per questo vendere molti dei suoi beni di famiglia e persino le cinque medaglie d’oro vinte al Certamen poeticum Hoefftianum.
In quella dimora Pascoli produsse alcune delle sue opere più significative quali: Ptimi poemetti”, i “Canti di Castelvecchio”, i “Poemi conviviali”, i “Nuovi poemetti” e “Myricae”. In quella casa visse fino al giorno della sua morte, avvenuta il 6 aprile 1912 e lì, nella chiesetta accanto alla villa, da allora egli riposa.
Trovandomi, pertanto, in Barga per la prima volta, non potevo non sentire il desiderio di visitare la casa del poeta, che a quel che mi avevan detto era rimasta intatta, qual era al momento della morte di Pascoli. Il lunedì dunque, prima di tornare a Firenze a prendere il treno, mi sono recato a Castelvecchio Pascoli, come oggi si chiama e mi sono arrampicato su per l’erto viale che mena all’ingresso di Casa Pascoli. Ma in cima mi attendeva una cocente delusione, quello da me scelto per la visita, era giorno di chiusura. Mi sono così accontentato di gettare uno sguardo al paesaggio, alle valli ed alle Alpi Apuane in lontananza, godendo della stessa vista su cui il poeta posava il suo sguardo.
In fondo anche quel paesaggio mi ha avvicinato all’animo del poeta e me ne sono tornato con in cuore una dolce lieve malinconia.