Euro o non Euro, “ai posteri l’ardua sentenza”

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di Antonino Papa-

Siamo alle porte del ventesimo anno del secondo millennio e da circa 1200 giorni un tema su tutti occupa costantemente ampi spazi su quotidiani, magazines e talk show, e la tendenza a discutere di questo argomento mostra un crescendo preoccupante: ovviamente l’oggetto del contendere è l’Euro e gli eventuali danni o benefici apportati al “Sistema Italia”.

Tenendo nell’angolo le valutazioni di carattere politico, in quanto di parte, provengano esse da destra, sinistra o centro, vorrei riportare l’attenzione su una pratica e sostanziale valutazione espressa dai cittadini che ogni giorno constatano sia il reale potere d’acquisto della moneta, sia l’effettivo trend del tenore di vita e soprattutto, per chi viaggia nei Paesi UE, le differenze, intese come gap, nei confronti di nazioni le cui economie prima dell’Euro erano meno forti e solide della nostra.

Il primo dato di fatto è il famoso “raddoppio dei prezzi” dalle 24 ore successive al passaggio ufficiale dalla Lira all’Euro, ed in questo caso non dobbiamo ricorrere ad alcun economista per comprendere che il nostro Paese, non solo è entrato in un momento in cui non poteva permetterselo, non solo il Governo dell’epoca ha accettato un parametro suicida ma ha permesso all’interno dei confini nazionali una speculazione senza limiti e senza controllo effettivo.

Un esempio pratico è dato dal fatto che lo stipendio medio di un impiegato era di circa un milione e seicento mila lire diventate poi circa 800 euro; parallelamente la speculazione ha fatto sì che il famoso “paio di scarpe” che prima dell’Euro costava 100.000 lire è passato a 100 Euro, ovvero il doppio. Pertanto senza scomodare alcun premio Nobel constatiamo un crollo del potere d’acquisto del 100% per noi italiani.

Se a ciò aggiungiamo che per 1 euro il parametro fu fissato a 1936,27 Lire mentre per il Marco fu stabilito un parametro “alla pari” (1 Marco = 1 Euro, quando 1 Marco era = 1.000 lire !) è semplicissimo comprendere elementarmente che tutto ciò avrebbe danneggiato l’economia italiana rendendo meno conveniente per gli stranieri spendere in Italia e di conseguenza abbiamo incamerato immediatamente una perdita di competitività, a prescindere dalla qualità dei prodotti.

Conseguenza di ciò, minori esportazioni in termini nominali (sebbene per lo stesso valore) significa minore produzione e/o più invenduto, ovvero italiani di fatto più poveri.

La morale della favola non è che la moneta unica non sia un bene ma l’errore è stato entrare in un momento in cui potevamo benissimo soprassedere (sebbene non avremmo goduto dei “paracadute” dell’Unione) per il semplice fatto che eravamo tra le prime economie mondiali ed addirittura la nostra industria manifatturiera, e non solo, superava anche quella tedesca e, cosa non di poco conto, restando con la lira, e non subendo il “cambio suicida”, alla qualità top del Made in Italy si sarebbe aggiunta la convenienza economica a comprare italiano.

Consideriamo inoltre anche tutte le regole imposte, giuste o sbagliate che siano, a partire dalle limitazioni di esportazione di latte, arance, olio, pomodori etc.. , ed è chiaro che tra le economie forti l’unica ad essere danneggiata è stata quella italiana, proprio in virtù del “peccato originale”, ovvero il “parametro suicida” Lira/Euro rispetto ad un’economia, quella tedesca, che era al pari se non inferiore a quella italiana.

La mia personale conclusione, non colorata politicamente, è che l’Euro, di fatto, ha danneggiato il Sistema Italia a favore di competitors che erano meno performanti di noi italiani ed ha indebolito il tessuto socio-economico italiano perché molte aziende non hanno retto al passaggio ed hanno tirato avanti con aperture di credito che, col tempo, non sono state in grado di restituire ed hanno chiuso i battenti causando perdita di posti di lavoro.

A nulla sono valse le politiche espansive e di aiuti nel periodo delle crisi bancarie in quanto gli istituti, anziché destinare i soldi ricevuti al credito agevolato per le aziende, hanno prima sistemato i loro bilanci, poi comperato titoli di stati al 7% con i soldi prestati all’1% e con i proventi hanno lucrato ulteriormente erogando credito a tassi non in linea con quanto auspicato dalle Istituzioni Finanziarie Europee, tutto nel totale silenzio di Governi e Banca D’Italia.

Ciò che sento di dire è che il male non è l’Euro ma le modalità con le quali abbiamo aderito.

 

 

 

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