
-di Gennaro Saviello-
Tutti attendono l’arrivo di Norma. La luna splende nel cielo in tutta la sua luce. Poi, il flauto seguito dall’incanto vocale di Casta diva ci immerge nell’atmosfera lirica del melodramma più noto di Vincenzo Bellini, Norma, appunto (prima al Teatro alla Scala di Milano, 26 Dicembre 1831).
Quanto la luna gravi sulle scene e domini la vita stessa dei protagonisti dell’opera lo dicono Felice Romani e Vincenzo Bellini che lavorarono al testo di quest’aria come l’orafo lavora un diamante. Il risultato: una indescrivibile bellezza testuale ed un irripetibile rivestimento sonoro difficile da dimenticare.
Pensiamo anche all’uso televisivo e cinematografico di quest’aria! Giacomo Leopardi ci ricordò ancora il suo fascino; quello che incantava anche Virgilio e Gambattista Marino. La stessa immagine evocata nei Canti, da La sera del dì di festa, all’ Ultimo canto di Saffo, Alla luna, torna nel melodramma. La formazione e le predilezioni classiche del librettista Felice Romani – che contribuirono ad arricchire la fonte le principale, Norma ou l’Infanticide di Alexandre Soumet, di immagini riprese dal mito di Medea, dall’Eneide di Virgilio – tiene anche conto dei versi di Leopardi: una consonanza non superficiale tra l’immagine leopardiana della luna, che pende sulla selva, e quella che, nell’opera lirica, sovrasta le sacre piante (nel nostro caso le querce, sulle quali cresce il vischio reciso da Norma per la realizzazione del rito propiziatorio).
La famosa Casta diva è infatti una «Preghiera». Le sue parole (l’aria è anche una composizione di ‘sortita’ e, quindi di ‘carattere’) costituiscono un ‘canto rituale’ utilizzato per implorare la “dea – luna” a «moderare, controllare, misurare» e rendere morigerato il comportamento esagitato del suo popolo.
Un inno alla «pace» invocata per placare i «cori ardenti» e mitigare l’istinto sfrenato ed il cieco coraggio dei Galli contro i soprusi romani. Per affermare e sottolineare tutto ciò in musica, Vincenzo Bellini costruì un congegno melodico e strutturale che, riflettendosi sui versi e sulle parole, ne amplifica l’importanza semantica e ne rimarca il messaggio.
Norma, così, diventa attuale, nella sua umana fragilità. Condividendo quel suo anelito alla luna ci ricorda, insieme alla sua musica, quel senso di infinito e di indefinito che ci avvolge in momenti apparentemente tragici. Allora, e solo allora, il melodramma raggiunge il suo scopo. Ce lo ricorda anche una delle sue riprese cinematografiche: The Iron Lady, il film inglese del 2011 dove Maryl Streep interpreta l’ex ministro britannico Margaret Thatcher e dove l’immedesimazione tra “le dive” è tale che ci incuriosisce sempre a rivederne la sequenza o, semplicemente, ad ascoltarne l’interpretazione di Maria Callas, soprattutto.
Francesco Lombardi, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
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