
-di Gennaro Saviello-
Tra le biografie di Enrico Caruso quella pubblicata a Boston nel 1922 (Little, Brown, and Company) è la prima e più corposa scritta da un critico musicale, lo statunitense Pierre V.R. Key. Non solo, le 455 pagine sono il frutto della collaborazione con l’italiano Bruno Zirato, nato a Reggio Calabria ed arrivato a New York via Parigi, segretario particolare del Tenore, diventato nel tempo “traduttore” di Arturo Toscanini in America ed anche manager della New York Philarmonic. Se è vero che spesso gli esordi di un artista sono avvolti nel mistero, oppure incerti e pieni di aneddoti, in questo caso le conoscenze di Zirato – testimonianze raccolte grazie anche alla fitta rete di amici – sono tali da guidare il biografo a ricostruire, da oltre oceano, i momenti iniziali della carriera di u’ beddu nicu (come l’agente teatrale Francesco Zucchi usava chiamare Caruso), fermati sulla carta a meno di un anno dalla morte del Maestro.
Così, insieme a Napoli ed alle piazze siciliane, l’allora Teatro Municipale di Salerno, rimane il luogo in cui sono documentate le prime esperienze spettacolari del ventitreenne Enrico, venuto su dalla polvere delle fonderie dell’Arenaccia di Napoli. Il giovane arrivò in città proveniente da Marsala, dopo aver conosciuto a Napoli, nell’agosto del 1896, Vincenzo Lombardi e Ferdinando De Lucia, rispettivamente maestro e direttore del teatro salernitano. Key e Zirato sottolineano che «Salerno non aveva mai sentito parlare di Enrico Caruso fino a quando non iniziarono le celebrazioni per l’Unità d’Italia» preparate dal Sindaco dell’epoca Andrea De Leo. L’opera scelta per le serate del 6 e 7 giugno del 1896 era Rigoletto, il melodramma verdiano con il quale, per coincidenza, era stato inaugurato il teatro municipale ventiquattro anni prima, in cui Enrico Caruso doveva interpretare il Duca di Mantova. Nell’occasione uno dei suoi primi ammiratori, Enrico Lorello (che diventerà il primo segretario italiano del Tenore), vaticinò: «un giorno sarai il più grande dei grandi». In effetti, da quel momento iniziarono i primi e più duraturi ingaggi. A Salerno, infatti, Enrico Caruso fu scritturato dall’Impresa Visciani per la messa in scena, tra agosto e settembre, dei ruoli protagonisti de I Puritani di Vincenzo Bellini e di Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni. Tra settembre e novembre passò all’Impresa di Giuseppe Grassi (direttore anche della rivista La Frusta) per l’esecuzione di La Traviata di Giuseppe Verdi, Carmen di George Bizet, La Favorita di Gaetano Donizetti, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo ed infine, per il don Giovanni Arcietto, protagonista del poema dialettale di Salvatore Di Giacomo, fresco di edizione (1895-96) musicato da Carlo Sebastiano, A San Francisco (28 novembre 1896). Tra marzo e maggio del 1897, inoltre, riconfermato dall’impresa di Giuseppe Grassi, eseguì cinquanta rappresentazioni tra La Gioconda di Amilcare Ponchielli, Manon Lescaut di Giacomo Puccini, La Traviata ed il Profeta velato, il dramma tratto dal poema omonimo di Thomas Moore da Italo Robin e Luigi Conforti, musicato da Daniele Napoletano che, dopo la prima al San Carlo di Napoli del 1892, approdava per la prima volta a anche Salerno.
Enrico Caruso negli anni salernitani (1896-97)
Foto tratta da Pierre V.R. Key, Enrico Caruso A Biography, 1922