La Commedia che “s’inmilla” in un saggio di Franca Olivo Fusco

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di Gennaro Saviello-

È uscito nell’aprile del 2021 per i tipi di Genesi Editrice l’ultimo lavoro di Franca Olivo Fusco, Il saccheggio della Commedia (citazioni di versi danteschi dal XIV al XXI secolo). Quasi duecento pagine fitte di citazioni della Commedia rintracciate in settecento anni di storia letteraria. Da Giovanni Boccaccio fino a Nazario Pardini, l’ultimo poeta censito nel 2019.  Già con Affinità poetiche (Questo verso l’ho già letto) del 2016 l’autrice aveva sondato il terreno della intertestualità e della transtestualità, riuscendo ad individuare una mole di “riusi” che costituiscono la memoria  letteraria di una Comunità vasta. Dalla prospettiva del Melodramma, sin dal 2008, invece, aveva illuminato “le fonti poetiche nei libretti d’opera” con Nessun maggior dolore (Bastogi Editore).

Un’operazione quest’ultima in linea con Quei più modesti romanzi di Mario Lavagetto (EDT, 2003), per la fede riposta nel valore della librettistica e, quindi, nel ruolo anche socio-linguistico dello “scritto-cantato” del teatro d’Opera. In quest’ultimo lavoro le tre Cantiche dantesche sono state passate in rassegna, distillate, per essere raffrontate alla produzione di sessanta poeti. Quando si scende in profondità il lavoro di Franca Olivo Fusco fa riflettere sull’affascinante mondo delle forme ricordevoli (cit. Francesco De Sanctis) che ha anche ricevuto, sin dagli anni Novanta del secolo scorso, particolari attenzioni nei settori della Psicologia della Creatività e della Letteratura.

Per rimanere nell’ambito dell’Opera, nel saggio possiamo imbatterci nei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo, quando Taddeo canta: soli noi siamo/ e senza alcun sospetto!… . La citazione operata dal musicista (che in questo caso è anche poeta per musica!), riproposta dall’autrice, è inequivocabile. L’episodio dantesco di Paolo e Francesca (Inferno, Canto V) costituisce una fonte riscrittura ipotestuale che appartiene alla “memoria” di chi sta scrivendo il libretto, la cui restituzione può essere letta, non solo nella prospettiva della già richiamata intertestualità,  ma anche quale miglior frutto di un processo cognitivo – per dirla con S. F. Larsen – innescato dalla risonanza personale e della rievocazione intertestuale. La voce di Desdemona nell’Otello di Gioachino Rossini, nei versi di Francesco Maria Berio ne è l’ulteriore testimonianza: Oh come infinito al cuor/ giungono quei dolci accenti!/ Chi sei che così canti? Ah tu rammenti/ lo stato mio crudel! (da Nessun maggior dolore/ che ricordarsi del tempo felice…). Franca Oliva Fusco è consapevole del grande tesoro linguistico della Commedia. Non a caso nella sua “necessaria introduzione” cita Tullio De Mauro: il cuore dell’italiano (inteso come lingua) è ancora dantesco. Ovvero è dantesco.

La lingua della poesia, infatti, non lasciò indenne la versificazione del Melodramma che per più di duecento anni ne costituì  la “quintessenza” (cit. L. Serianni), tanto da formarne la facies più conservativa. Ce ne accorgiamo quando leggiamo, nel libretto di La Traviata, il verbo dantesco trasvolare che, messo in bocca a Violetta nella cabaletta del finale del Primo Atto da Francesco Maria Piave già a Giuseppe Verdi cominciava a “suonare” irrealistico e poco confacente al personaggio, tanto da generare una delle più famose  “variante in partitura” e sostituito, come fu, dal verbo folleggiare che, viceversa,  ascoltiamo nelle esecuzioni sin dal 1853. L’autrice di questo saggio ha il merito, dunque, di cavare dall’ombra tanta letteratura che costituisce la “memoria fondativa” della nostra Cultura e sprona ad una riflessione sulla Lingua italiana, per il suo continuo divenire, per le sue sfumature, per il prevalere del “parlato”,  ma affezionata – come diceva Giovanni Nencioni – alla costanza dell’antico.

 

 

 

5 Commenti

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