“Napoli Stanca” pubblicato da Solferino editore è una raccolta di testi su Napoli voluta da Mirella Armiero, responsabile delle pagine culturali del Corriere del Mezzogiorno.
17 scrittori napoletani provano, attraverso racconti e riflessioni, a descrivere, per l’ennesima volta, il capoluogo campano.
L’intento è chiaro da subito: esiste sempre un modo nuovo di osservare un soggetto o un oggetto, Napoli in questo caso, già ampiamente raccontato da chiunque abbia frequentato via Toledo oppure i quartieri Spagnoli. Questi testi brevi provano a destreggiarsi su di una tela nota a tutti percorrendo itinerari nuovi ed ignoti.
Cosa ci incuriosisce quando osserviamo un oggetto, un luogo, una persona? Quale il primo particolare a cui facciamo caso? Durante la lettura ho avuto costantemente la sensazione di trovarmi di fronte alla serie fotografica di Mario Giacomelli “Non ho mani che mi accarezzano il viso” ispirata ai versi di Padre Maria Turoldo. Giacomelli inserisce i soggetti (alcuni preti da poco entrati in seminario) su di uno sfondo bianco, accecante, in alcuni scatti quel colore sembra impossibile possa esistere davvero. È il candido sfondo a catturare la nostra attenzione, o le sagome di questi novizi che provano ad esibire il loro desiderio di vita ben oltre gli schemi di una fede in cui sentono di ritrovarsi? È la fede o l’ignoto candore a catturare il nostro sguardo? Questo è il risultato della raccolta “Napoli Stanca”:
Cosa di Napoli in primis colpisce il nostro immaginario? La periferia raccontata (magistralmente) da Gianluca Nativo e Gianni Solla, oppure la strafottenza dei personaggi di Marco Marsullo di fronte ai quali il lettore non capisce se odiarli oppure sorridere ancora una volta come in una commedia sceneggiata grazie ad una sapiente scrittura?
In che senso Napoli Stanca? Una città che sfibra e sfinisce i suoi abitanti, inconsapevoli eroi nell’affrontare a fatica anche le più banali incombenze quotidiane, oppure Napoli è stanca di mostrarsi sempre allo stesso modo e noi siamo ancora qui a parlarne?
Altro punto di vista: e se Napoli volesse mostrarsi stanca e sfinita? L’atavica indolenza partenopea è da sempre il principale ingrediente di qualsiasi narrazione con Napoli protagonista. Perché cambiare?
I turisti cercano quello che gli stereotipi hanno consapevolmente cementato nell’immaginario collettivo, e la sua fascinosa anarchia viene raccontata sempre allo stesso modo oggi attraverso i social, così come da sempre scrittori, cantanti e fotografi hanno fatto attraverso gli strumenti di comunicazione a loro più congeniali.
Alla fine della lettura di questi 17 racconti il senso di smarrimento è profondo: non riusciamo più a capire se siamo stanchi oppure sfiniti, eppure stiamo sempre qui a parlarne, senza più forze, commossi e consapevoli della fatica fisica e mentale che ci vuole per vivere in un luogo misteriosamente affascinante.
La verità è che Napoli è una trappola, una volta catturati probabilmente fa comodo restare avvinghiati ai suoi tentacoli. Oppure amiamo solo parlarne male per sentirci radical chic? Parlare male del male è il modo migliore per catturare l’attenzione di chiunque, da sempre. Di recente anche Chris Martin con i suoi Coldplay ha deciso di rendere omaggio alla nostra città intonando “Napul’e”: odiatemi pure ma trovo che quella sia, per me, la canzone meno riuscita scritta da Pino Daniele. Una insopportabile melodia in perfetto stile melodico napoletano infarcita di stereotipi che, a quanto pare, hanno varcato l’oceano e non avevamo di certo bisogno di sapere che anche per delle rockstar all’avanguardia e seguite da un pubblico giovane “Napul’e na carta sporca”. Avrei voluto sentire Chris Martin cantare “Yes i know my way”: avrebbe raccontato al mondo che una città dalla storia millenaria sa convivere con gli altri, che la sua secolare storia musicale sa perfettamente come evolversi attraverso la mescolanza di suoni e melodie apparentemente lontani. Ma il leader della band ha preferito una strada comoda: una voce bassa e una melodia di facile presa lo hanno convinto a raccontare la nostra città senza dire nulla di nuovo. Avrebbe compiuto un gesto rivoluzionario ma la sirena Parthenope ha accecato anche lui: Napoli va raccontata sempre allo stesso modo soprattutto se non vivi nel nostro amato/odiato stivale.
La verità è che ad essere napoletani forse ci vuole un coraggio non richiesto ma necessario. A Napoli siamo stanchi di stancarci, questa è l’ineluttabile verità incisa tra le pagine di questo libro.
Umberto Mancini