Esce in libreria il 25 settembre “Storia di una linea bianca” di Alessandro Cattunar, con le illustrazioni di Elena Guglielmotti. “Storia di una linea bianca” racconta attraverso memorie e immagini la storia di quella linea tracciata a Gorizia nel settembre 1947. Un tratto bianco che ha diviso in due la città, la storia di una terra segnata dalla convivenza tra popoli e culture diverse. Una riflessione su quanto sia difficile scegliere da che parte stare, rinunciando a una parte di sé.
“Storia di una linea bianca” comincia da un giorno particolare: il 16 settembre del 1947. In quel giorno i militari Alleati stanno tracciando la linea di confine che separerà l’Italia e la Jugoslavia, una linea bianca che divide il territorio di Gorizia in modo piuttosto arbitrario. In un cortile a poca distanza dal centro della città, in via del Rafut, una mucca viene fotografata mentre tiene due zampe da una parte e due zampe dall’altra della linea appena tracciata. Alla sua destra vediamo la stalla, a sinistra il fieno.
Alessandro Cattunar ci racconta che guardando questa fotografia ha immaginato «che quella mucca stesse protestando. Che stesse a cavallo del confine apposta, come per dire che lei non era disponibile a fare una scelta, non era disposta a rinunciare a una parte fondamentale di quello che era sempre stato il suo mondo, la sua casa. Recuperando poi un filmato Luce, mi sono reso conto che effettivamente si vede uno dei padroni della mucca provare a trascinarla verso la stalla, e l’animale oppone resistenza. Non vuole spostarsi. Mi è subito sembrata la metafora perfetta di ciò che hanno vissuto, in quei giorni, tante famiglie goriziane, che si sono trovate a fare i conti con una linea di confine che andava a tagliare, a dividere, il loro mondo, obbligando le persone a scegliere da che parte stare, e a cosa rinunciare. Alla casa, al lavoro, a una parte della famiglia, a vedere realizzarsi i propri ideali politici. Quella linea rappresenterà la parte finale della cortina di ferro, e capire perché passa proprio lì, proprio sotto quella mucca, è la domanda a cui il libro cerca di dare una risposta».
«All’interno del volume è confluita una notevole mole di materiali, in particolare centinaia di testimonianze orali che ho realizzato nell’arco di più di quindici anni a goriziani di diversa origine, lingua e orientamento politico. Un corpus di videointerviste raccolte anche in collaborazione con studiosi sloveni, come Kaja Širok, già direttrice del Museo nazionale di storia contemporanea di Lubiana, che mi hanno permesso innanzitutto di mappare e analizzare le topografie della memoria dei goriziani. E poi raccoglie quasi cento fotografie conservate in archivi e istituzioni sia italiani che sloveni. “Storia di una linea bianca“ ricostruisce sicuramente la storia del territorio che oggi comprende Gorizia e Nova Gorica e che è attraversato dal confine, ma il suo obiettivo principale è provare a restituire al lettore diversi punti di vista, diverse interpretazioni che i protagonisti danno dei fatti avvenuti. Capire un territorio di frontiera che diventa area di confine implica un confronto costante tra macrostoria e microstorie, fare i conti con la pluralità degli sguardi, accettare il fatto che ci siano memorie diverse e spesso contrastanti. Senza cedere all’illusione del paradigma della memoria condivisa. In questi anni ho anche provato a capire che relazione c’è tra luoghi, memorie e identità. Grazie al sostegno dell’Associazione Quarantasettezeroquattro e alla collaborazione di tante colleghe e colleghi, ho cercato di raccontare la storia nei luoghi stessi in cui si è manifestata, e di far emergere la stratificazione di storie e significati che edifici, piazze, strade, luoghi pubblici racchiudono in sé, costruendo percorsi storico-turistici a cielo aperto, APP per smartphone, musei multimediali, ma anche podcast e performance storico-teatrali. Insomma, “Storia di una linea bianca” , che è composto da parole, foto, illustrazioni e contenuti multimediali è il punto d’arrivo di un più ampio progetto di public history».
“Storia di una linea bianca” è un libro unico nel suo genere, perché mette insieme linguaggi diversi: grafica, illustrazioni, interviste, ma ha un profondo impianto storico e una narrazione molto fruibile. Per Alessandro Cattunar «il lavoro più impegnativo è stato proprio questo, coniugare il rigore della ricerca e della ricostruzione storica con la volontà di calarsi nella vita quotidiana delle persone e delle famiglie. Riflettere sulla complessità senza rinunciare alla piacevolezza della lettura. Ricostruire gli avvenimenti ma concedere qualche spazio anche all’immaginazione. Attraverso le fotografie cerco di immergere il lettore nelle atmosfere dell’epoca, far vedere come la città muta nel corso dei decenni, far emergere le stratificazioni, ma anche dare un volto, un’espressione, ad alcuni dei principali protagonisti delle vicende narrate. Dove mancano le testimonianze fotografiche o cinematografiche, lì entra in gioco l’immaginazione, e così ho chiesto a Elena Guglielmotti di provare a tradurre in immagini alcuni degli episodi narrati dai testimoni, alcuni frammenti di vita in cui realtà e percezione individuale sicuramente si mescolano. Le illustrazioni propongono uno stile peculiare sospeso tra realismo e metafora.
E poi ci sono le mappe: alcune indicano gli spostamenti del confine mentre altre, illustrate, si focalizzano sul centro urbano e collegano luoghi ed eventi, fanno capire il succedersi quasi frenetico di eventi epocali in un piccolo fazzoletto di terra.
“Storia di una linea bianca” è strutturato come un itinerario che i visitatori potranno percorrere, dalla stazione meridionale a quella della Transalpina, ponendo attenzione a spazi, edifici, luoghi non scontati, carichi di storia e vissuti familiari. Infine ho deciso di porre alcune testimonianze in evidenza, offrendo poi la possibilità di accedere all’intervista completa tramite un codice QR. In questo modo, chi ne avrà voglia, potrà approfondire i percorsi biografici dei testimoni, ma anche ascoltare la viva voce dei protagonisti, e osservarli mentre raccontano le loro storie».
Nel 2025 Nova Gorica e Gorizia saranno congiuntamente capitale europea della cultura. Un’occasione importante per tutto il territorio, che sarà meta di molti visitatori.
Per Alessandro Cattunar «ci sarà molta curiosità in merito alla condizione di frontiera/confine di queste due città, e spero che il libro possa contribuire a far capire quanto il titolo di Capitale europea della cultura sia davvero la chiusura di un cerchio durato più di un secolo. Credo e spero che “Storia di una linea bianca” aiuterà i lettori e le lettrici curiose a confrontarsi con la bellezza della complessità, ponendo ascolto a tante diverse voci, che creano un mosaico che in qualche modo si associa a quello che in piazza Transalpina/Trg Evrope segna il punto in cui passa il confine. A livello italiano credo ci sia necessità di proporre una narrazione su queste terre che non sia focalizzata solo sui grandi traumi – sulla snazionalizzazione degli slavi e sulle foibe, per capirci – ma che sia in grado di tracciare un panorama più ampio, all’interno del quale quei drammi possano essere ben contestualizzati. Mi piacerebbe che si parlasse di queste terre, di confini, identità, di storia e memorie non solo in occasione del Giorno del Ricordo. Più in generale, in questo periodo in cui la riflessione sul ruolo, i compiti e l’importanza dell’Unione europea è piuttosto accesa, anche a fronte del riemergere di nazionalismi, penso che osservare il Novecento da un territorio di frontiera possa essere molto stimolante, per interpretare anche molte tendenze contemporanee. A livello locale spero che il libro venga vissuto dalle generazioni più anziane come un’occasione per ritrovare la propria esperienza, ma in rete e in relazione con quella di tanti altri. Per le generazioni più giovani spero sia un modo per comprendere quanto sia speciale la terra in cui vivono, quanto sia ricca di culture, tradizioni, esperienze che ancora si possono percepire, se uno sa cosa e come osservare».