di Clelia Pistillo
Il miglior modo di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi.” Sandro Pertini
Alle 19 34 del 23 novembre 1980, durante quella che è stata descritta da tutti come un serena e calda domenica, l’Irpinia fu epicentro di un devastante terremoto di magnitudo 6.9 (il decimo grado della scala Mercalli). Una scossa di 90 interminabili secondi che colpì la Campania, la Basilicata, ed una parte della Puglia causando oltre 3.000 morti, circa 8.848 feriti e 300.000 senzatetto.
I superstiti raccontano di uno scenario da inferno dantesco. C’erano morti ovunque, interi paesi furono rasi al suolo e si sentivano in molti casi i gemiti e i lamenti delle persone ancora vive provenienti da sotto le macerie. L’intervento da parte dello Stato fu tutt’altro che tempestivo e la macchina dei soccorsi fu assai carente. Ancora oggi i sopravvissuti raccontano di essere rimasti isolati per giorni e di come dovettero essi stessi rimboccarsi le maniche per scavare con ogni mezzo disponibile nel tentativo disperato di liberare i propri congiunti.
Una profonda ed eterna ferita che continuò a lacerarsi durante gli anni a venire, quelli della ricostruzione. La legge 14 maggio 1981 num. 219 parlava di un piano di ricostruzione e sviluppo dei territori colpiti. In tutto furono spesi 50.000/60.000 miliardi di vecchie lire (secondo i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro). Tante le speculazioni, le ruberie e lo sciacallaggio operati ad ogni livello tutt’ora visibili e testimoniati dai tanti stabilimenti industriali mai utilizzati che versano in uno stato di completo abbandono, dal progressivo spopolamento di queste meravigliose aree interne e dalla presenza di prefabbricati ancora abitati.
Vale la pena ricordare e rileggere il toccante discorso che l’allora capo dello stato Sandro Pertini pronunciò dopo essersi personalmente recato sui luoghi della tragedia.
“Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera.
Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. E’ vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. Non è vero, come ha scritto qualcuno che si sono scagliati contro di me, anzi, io sono stato circondato da affetto e comprensione umana. Ma questo non conta. Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. E i superstiti presi di rabbia mi dicevano: “Ma noi non abbiamo gli attrezzi necessari per poter salvare questi nostri congiunti, liberarli dalle macerie”.
Io ricordo anche questa scena: una bambina mi si è avvicinata disperata, mi si è gettata al collo e mi ha detto piangendo che aveva perduto sua madre, suo padre e i suoi fratelli. Una donna disperata e piangente che mi ha detto “ho perduto mio marito e i miei figli”. E i superstiti che lì vagavano fra queste rovine, impotenti a recare aiuto a coloro che sotto le rovine ancora vi erano. Ebbene, io allora, in quel momento, mi sono chiesto come mi chiedo adesso, questo. Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate?
Non bastano adesso. Vi è anche questo episodio che devo ricordare, che mette in evidenza la mancanza di aiuti immediati. Cittadini superstiti di un paese dell’Irpinia mi hanno avvicinato e mi hanno detto: “Vede, i soldati ed i carabinieri che si stanno prodigando in un modo ammirevole e commovente per aiutarci, oggi ci hanno dato la loro razione di viveri perché noi non abbiamo di che mangiare”. Non erano arrivate a quelle popolazioni razioni di viveri. Quindi questi centri di soccorso immediato, se sono stati fatti, ripeto, non hanno funzionato. Vi sono state delle mancanze gravi, non vi è dubbio, e quindi chi ha mancato deve essere colpito, come è stato colpito il prefetto di Avellino, che è stato rimosso giustamente dalla sua carica.
Adesso non si può pensare soltanto ad inviare tende in quelle zone. Sta piovendo, si avvicina l’inverno, e con l’inverno il freddo. E quindi è assurdo pensare di ricoverarli, pensare di far passare l’inverno ai superstiti sotto queste tende. Bisogna pensare a ricoverarli in alloggi questi superstiti. E poi bisogna pensare a una casa per loro. Su questo punto io voglio soffermarmi, sia pure brevemente. Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice. Io ricordo che sono andato in visita in Sicilia. Ed a Palermo venne il parroco di Santa Ninfa con i suoi concittadini a lamentare questo: che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere? Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui.
Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto. Quindi si provveda seriamente, si veda di dare a costoro al più presto, a tutte le famiglie, una casa. Io ho assistito anche a questo spettacolo. Degli emigranti che erano arrivati dalla Germania e dalla Svizzera e con i loro risparmi si erano costruiti una casa, li ho visti piangere dinanzi alle rovine di queste loro case. Ed allora: non vi è bisogno di nuove leggi, la legge esiste. Ecco perché io ho rinunciato ad inviare, come era mio proposito in un primo momento, un messaggio al parlamento.
Si attui questa legge e si dia vita a questi regolamenti di esecuzione, e si cerchi subito di portare soccorsi ai superstiti e di ricoverarli non in tende ma in alloggi dove possano passare l’inverno e attendere che sia risolta la loro situazione. Perché un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherà, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa sciagura.
Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi.”
Pertini, il Presidente partigiano, era un uomo che aveva combattuto in prima persona gli orrori del fascismo, aveva già visto morte e distruzione intorno a sé, tuttavia rimase molto impressionato dalla visita in Irpinia e pronunciò quel discorso pieno di rabbia e indignazione con cui denunciava l’assenza e l’inadeguatezza dello Stato. Con quelle parole si condannava la corruzione nelle istituzioni esortando la parte pulita della società a prendere una posizione, ad essere solidale. Fu proprio in seguito alle sue parole che le persone cominciarono ad organizzarsi dal nord a sud della nostra penisola portando soccorso ed aiuto alle popolazioni colpite, dando luogo ad una delle manifestazioni più belle di umanità e di generosità che la storia del nostro Paese ricordi.
Il sisma creò una frattura, è il caso di dirlo, tra un prima e un dopo.
Un pensiero oggi lo rivolgiamo al futuro di questa zona dell’ appennino caratterizzata da un’indomita bellezza e abitata da tante persone con un grande senso della comunità e un forte attaccamento alle proprie radici ma i cui figli sono costretti ancora oggi a partire in cerca di una vita altrove.
Un altro pensiero, quello più dolce va a coloro i quali il 23 novembre 1980 morirono sotto le macerie e a chi sopravvivendo ai propri genitori e ai propri figli si portò per sempre il terremoto dentro.
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