Storia di violenza, acido e “amore malato”. Intervista a Filomena Lamberti.

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“C’è un momento in cui devi decidere: o sei la principessa che aspetta di essere salvata o sei la guerriera che si salva da sé… ” Queste parole sono di Marylin Monroe ma potrebbero essere di qualsiasi donna che si sia trovata a fare i conti con un salvataggio da fare, quello più difficile,  quello che riguarda se stessi. Parliamo di corpo e anima, perché spesso c’è da doversi salvare persino la pelle.

L’altra sera ho incontrato una donna speciale: ad accogliermi, nonostante tutto, il suo sorriso, perché le donne la forza se non ce l’hanno, se la fanno venire. Ma facciamo un passo indietro. 

Le notti di maggio profumano di rose per definizione, ma non fu così per Filomena Lamberti la notte del 28 maggio 2012, non fu così per 30 anni. E quella notte, suo marito, alle 4 del mattino ” mi bussa sulla spalla- racconta Filomena  e dice – vir’ che te rongh”-(vedi che ti do). E mi versa addosso una bottiglia di acido solforico”. 

Chi era Filomena Lamberti prima del 28 maggio 2012?

Sono sempre stata una ragazza solare, felice della vita. Ho sempre avuto amici, una comitiva, andavamo a ballare. All’epoca andavamo al Nostradamus di Cava de’ Tirreni. A quei tempi le amicizie erano belle e vere, non c’era cattiveria, invidia. Noi che abbiamo vissuto gli anni ’70 possiamo notare grandi differenze con i tempi attuali; la tecnologia di oggi è bella, utile, ma in tanti, secondo me, non la usano nel modo giusto. 

Com’è stata la Sua infanzia?

Bella, serena. Sono nata a casa della nonna materna a Cava de’ Tirreni. Ho vissuto con lei fin da piccolissima, avevo appena otto mesi quando le sono stata affidata dai  miei genitori che lavoravano. Sono cresciuta nel benessere, mia nonna un po’ mi viziava. Era direttrice nella Manifattura Tabacchi di Cava de’ Tirreni. A 13 anni i miei genitori mi hanno ripresa, era un età in cui, secondo loro, dovevano controllarmi di più. Ho sofferto infinitamente per quel distacco.

A 13 anni incontra un ragazzo e crede che sia il suo Principe Azzurro…

Si. Occhi azzurri e capelli biondi. Ci siamo fidanzati e non capivo che quando lo presentai alla mia famiglia stavo firmando la mia condanna. Ero sinceramente innamorata anche se mi accorgevo che il suo vizio di bere era un problema serio. Mi lasciò. Io tentai il suicidio. Ricominciammo a vederci, a mia madre non piaceva. La storia continuò tra violenze ma io credevo di poterlo cambiare…

Un matrimonio sfociato da subito in una gelosia ossessiva, fino all’epilogo che l’ha vista vittima e sola. Com’è andata?

A 22 anni rimasi incinta e pensavo che il bambino avrebbe cambiato le cose, ma non fu così. La gelosia è iniziata immediatamente. Gelosia, violenza, volgarità. Quando nacque il mio primo figlio lui non c’era, si giustificò dicendo che avevamo litigato, eppure era suo figlio che stava per nascere. Ho avuto tre figli, ma la situazione non era delle migliori ed ho cercato di crescerli al meglio, anche se lui mi isolava, umiliava, picchiava. Io cedevo alle sue proibizioni, ai suoi divieti e il cerchio attorno a me si stringeva. Non volle neanche che i nostri figli andassero all’asilo, altrimenti io sarei rimasta sola e non potevo… Io dovevo essere controllata. Così mi fece lavorare con lui nella sua pescheria. Il terrore invase la mia vita. I litigi erano la mia quotidianità e quella dei miei figli. Cercavo di essere forte, di non piangere. Dopo feroci litigi io continuavo a giocare con i miei figli ma probabilmente ho dato loro l’impressione che fosse tutto normale. Anche loro hanno sofferto e preso strade sbagliate. Ho lottato tanto. 

Prima di quel maledetto 28 maggio 2012 ci sono altri episodi  a cui fa da cornice l’indifferenza sicuramente di chi avrebbe potuto fare qualcosa, la superficialità di chi non ha dato peso ad un piano ben definito che si andava tingendo di nero nella mente dell’ex marito di Filomena. “L’aggia squaglià” ( la devo sciogliere), ebbe a dire l’uomo una volta ad un nipote. Ma la frase non fu presa sul serio. Intanto la madre di Filomena che viveva con la figlia, si sposò e  andò a vivere altrove dicendo alla figlia  “L’hai voluto ed ora te la devi cavare”. Filomena rimase sola, senza un luogo sicuro in cui poter andare, con tre figli, economicamente totalmente dipendente da colui che era suo marito, privata di qualsiasi libertà.  Dopo una vita di violenza e umiliazioni, privazioni e volgarità, cercò di riprendersi la sua vita. Decise di separarsi e lo comunicò al marito. Era imminente il matrimonio di suo figlio, così decise di dedicarsi all’evento e di riprendere la questione dopo. Poi, la tragedia.

Ad un certo punto il cerchio si chiude e tu non trovi più la via d’uscita. La mia ribellione era sorda, muta e solitaria, poi decisi di dover porre fine a questa esistenza terribile con tre figli cresciuti nel terrore. Quella notte mi  versò l’acido sul volto, collo, capelli, spalle, braccio, fianchi, bruciava tutto. Anche la mia anima. Quell’acido solforico lo conoscevo bene, lo utilizzavamo in pescheria per pulire i tubi. E’ iniziato il mio calvario fatto di quattro anni in totale di ospedale, 30 interventi. Le mie pupille erano bianche ma la vista mi fu salvata. Sono stata ricoverata al Centro grandi ustionati del Cardarelli di Napoli,  nel  reparto di chirurgia plastica ricostruttiva, un mese in terapia intensiva… 

Un volto distrutto, un corpo martoriato con i figli che, dopo una vita trascorsa così, hanno avuto difficoltà a capire dove inizia il lecito e dove il tutto diventa follia. Una donna che abitua i figli a dare una immagine di se stessa come di colei che tutto accetta per amore, viene compresa difficilmente quando poi trova, finalmente, la forza di ribellarsi.

E dopo il danno atroce la beffa: se la tragedia avviene il 28 maggio 2012, il 25 giugno, neanche un mese dopo, il processo termina. L’imputato, autore dello sfregio, con rito abbreviato e patteggiamento, sconterà soltanto 18 mesi, divenuti 15 per buona condotta. Una celerità incredibile, inimmaginabile… E, cosa ancor più pazzesca in tutto questo, Filomena, protagonista e vittima della vicenda, in ambito processuale non verrà mai interrogata, mai raggiunta da nessun avvocato. Il processo si chiude con Filomena ancora in terapia intensiva. Un caso di mala giustizia, frettolosamente messo a tacere dove, agli atti, emerge un reato minore denunciato dall’avvocato di Filomena, si parla solo  di maltrattamenti in famiglia e lesioni gravi. Una causa chiusa in breve che non si è mai più potuta riaprire. 

-Da allora com’è cambiata la Sua vita?

Vivo tra mille difficoltà ma mi sono ripresa la mia vita. Ora , grazie all’Associazione Spazio Donna Linearosa, porto con la  mia tragedia un messaggio alle ragazze, giro molto per le scuole. Con quest’associazione che mi ha sostenuto nella pubblicazione di un libro che vuole essere solo la mia testimonianza, invito loro a ragionare prima con la testa. Esistono tanti uomini violenti. Il copione è sempre lo stesso e la violenza non ha ceto sociale, è uguale da Nord a Sud. Noi donne dobbiamo andare oltre tanti pregiudizi, capire cosa vogliamo, cosa ci fa star bene. Io ho sperato di salvare qualcosa che non doveva essere salvato. 

Crede ancora all’Amore?

Per carità, l’amore è un bellissimo sentimento. L’amore non è malato è l’uomo malato che lo rende tale. Quando un uomo usa violenza non è amore. Oggi  io amo i miei figli, il mio cane.

Chi è oggi Filomena Lamberti?

Una donna libera. 

Per chi si chiedesse che fine abbia fatto l’uomo reo di aver distrutto il volto e non solo di Filomena Lamberti, sappiate che, in una intervista fatta alle Iene affermò: Se potessi, lo rifarei.- ed ancora oggi gestisce una pescheria a Salerno.

In questa storia in cui ha perso la Magistratura, la Giustizia in toto, hanno perso tutte le persone che avrebbero dovuto aiutare Filomena in qualsiasi modo; solo una persona ne esce vincente ed è proprio Filomena che, seppur a caro prezzo, ha rimesso in gioco la sua vita dimostrando a tutte che non è mai troppo tardi per vivere la propria vita. Grazie Filomena, grazie per questo messaggio universale.

 

 

 

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1 commento

  1. Mi sono molto commosso a leggere la tua storia e allo stesso tempo ti ammiro per il coraggio che hai a lottare nonostante le avversità. Massima stima da Andrea. Pescara in Abruzzo.

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