di Giuseppe Moesch*
Avevo 33 anni quando ebbi l’onore di far parte dello staff di collaboratori di Spadolini a Palazzo Chigi. C’erano dei ragazzi più giovani di me, come Davide Giacalone, Ugo Magri, altri miei coetanei come Stefano Folli e Piero Rostirolla, tutti animati dallo stesso spirito un po’ goliardico ed un po’ incredulo, come lo erano anche gli uomini del palazzo che ci consideravano degli intrusi.
Ricordo con grande piacere le volte che a fine giornata ci riunivamo nella stanza di Stefano o di Davide a commentare i fatti del giorno o a ridere sull’impossibilità di decifrare gli appunti scritti dal capo, che solo Ugo era in grado di comprendere. Normalmente si trattava di quattro o cinque graffiti al massimo, che riempivano una intera pagina.
Ricordo un uomo corpulento, sanguigno in alcuni casi irascibile; un paio di volte mi è capitato di incrociarlo nei corridoi non particolarmente ampi del palazzo ed essendo all’epoca anche io pletorico, dovetti appiattirmi al muro per evitare di essere travolto da quel gigante.
Un episodio mi è rimasto impresso che ancor oggi mi fa sorridere.
Dovevo scrivere il discorso che Spadolini doveva tenere non ricordo più se ad un congresso della Confagricoltura o della Coldiretti o della Lega ricordo solo che si trattava del settore agricolo. Andrea Manzella, Capo di gabinetto, mi aveva inviato la documentazione e indicato a grandi linee gli intendimenti del Presidente; non mi sentivo particolarmente ferrato sull’argomento, incominciai a studiare il dossier e tentai di gettare giù il discorso, che però non veniva.
Il problema nasceva dalla mia esperienza sindacale che strideva in parte con alcune posizioni interne al partito. Era già successo con un intervento tenuto in Confindustria in cui le correzioni apportate al mio scritto non riuscirono a modificare significativamente il merito di quel discorso che impresse una scolta alle posizioni fino ad allora tenute.
Ma in questo caso mi sentivo svuotato, cincischiavo iniziavo, stracciavo i fogli, ricominciavo, ma senza risultati.
La data si avvicinava e cominciarono ad arrivare telefonate di sollecitazioni dalle segretarie del Capo di Gabinetto, ed infine un paio di telefonate direttamente da Manzella, perché consegnassi lo scritto, l’ultima perentoria ed arrabbiata due giorni prima dell’intervento.
Decisi di scrivere quello che avevo in mente e finalmente consegnai il documento che in fondo non mi piaceva, ma non potevo fare altro.
Trascorse poco più di un’ora quando mi raggiunse una telefonata di uno dei collaboratori che avevano la stanza in prossimità di quella del Presidente.
Mi dissero che si era sentito urlare nella stanza e che le parole pronunciate furono; “Ma chi ha scritto questa roba. Non vedete che non è il mio stile”.
Fortunatamente era un uomo e non solo un mito.
Roma, 4 agosto 2023
A 29 anni dalla morte di Giovanni Spadolini
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