
Avevo poco più di venti anni quando, alle 19,30 del 23 novembre 1980, ho vissuto una manciata di minuti che avrebbero segnato e cambiato per sempre la mia vita e me stesso.
Ero a casa di un amico, al quinto piano di un edificio moderno che fortunatamente ha resistito bene al terremoto. Ai primi sobbalzi del pavimento ci siamo precipitati tutti per le scale, correndo un grande rischio, ma in quel momento scappi senza riflettere, senza pensare. Gente che urlava e ti scavalcava, spingendoti violentemente e pericolosamente verso la tromba delle scale. Queste tremavano, anzi no, sobbalzavano e oscillavano sotto i piedi… ma noi continuavamo a scendere correndo, per andare verso l’esterno. Pochi, interminabili minuti, durante i quali nella mia testa, ma forse anche nella mia voce, non lo ricordo più, c’erano solo queste parole: ora crolla tutto… ora crolla tutto.
Arrivati al pian terreno, prima di uscire dal palazzo, nella calca più disordinata, alcuni pezzi di intonaco iniziano a cadere dal soffitto. Ora crolla tutto, continuavo a ripetermi. Fortunatamente non accadde e uscimmo tutti in strada, dove ci sentivamo meno in pericolo anche se non del tutto al sicuro.
Mi guardo intorno, confuso, impaurito e vedo che la famiglia del mio amico era tutta lì. In quel momento, con quel briciolo di lucidità che riuscii a mettere insieme, pensai alla mia di famiglia che era a casa, poco distante da dove ero in quel momento. Comincio a correre facendomi strada tra la gente terrorizzata ed attonita. In quel trambusto vedo mia madre e mio padre, l’una vicino all’altro, che con lo sguardo mi cercavano. Io ero lì ma mancava ancora mia sorella. Era uscita con i suoi amici e non sapevamo nulla.
Altre scosse rinnovano la paura, e i nostri sguardi vanno verso gli edifici che ci circondano. Nella zona di Napoli in cui ero, non ci sono stati danni gravi, ma la paura era maledettamente visibile sui volti di tutti.
Eravamo angosciati e preoccupati per mia sorella. Non sapevamo dove fosse, cosa le fosse accaduto. A quei tempi non esisteva internet, men che meno il cellulare. Insomma, non sapevamo cosa fare e cosa pensare, ma tutti e tre, nel profondo, temevamo il peggio.
Improvvisamente mia madre, quando si dice l’istinto di una madre, decide di rientrare in casa, contro la volontà mia e di mio padre. Era convinta che mia sorella avrebbe chiamato per dirci dove andarla a prendere. In quegli anni i nostri genitori si preoccupavano di darci sempre un paio di gettoni telefonici da tenere in tasca per ogni necessità.
Naturalmente io e mio padre eravamo fortemente scettici su quella storia della telefonata… mia madre no e incredibilmente quella telefonata arrivò. Mia sorella stava bene, spaventata più dalla confusione che dal terremoto perché era in auto, per strada, mentre tutto accadeva e non sentì praticamente nulla. Riuscimmo, nonostante la grande confusione, a recuperarla. I giorni a venire furono lunghi, strani e pieni di paure.
Da quella notte la mia vita, e quella di tanti campani, è cambiata per sempre. Dopo quarant’anni la paura è quasi passata, è rimasto vivo il ricordo della paura, il ricordo di quei momenti terribili. Ma il tempo lenisce tutte le ferite, anche se qualcosa, nel profondo, rimane lì per sempre. Io, ad esempio, da quella notte non riesco più a stare in casa in tuta o in pigiama, devo vestirmi di tutto punto appena mi sveglio e svestirmi solo al momento di andare a letto, perché intimamente penso sempre ad una fuga improvvisa, del resto, vivo vicino al Vesuvio. Così come ho sviluppato una particolare sensibilità alle vibrazioni del pavimento. Ricordo quando nel 1994, ero all’ultimo piano di una delle Torri Gemelle a NY, e dovetti allontanarmi di corsa perché sentivo chiaramente l’oscillazione dell’edificio. I miei amici mi presero in giro, fino a quando uno dei custodi confermò che quelle vibrazioni (che sentivo solo io in quel momento) erano reali perché era il vento a causarle a quell’altezza.
Ho sempre pensato che l’esperienza del terremoto del 1980 fosse la più traumatica della mia vita, dopo la perdita degli affetti più cari ovviamente. E per quaranta anni è stato così… ma mi sbagliavo: non ho messo nel conto il Covid che, come il terremoto, lascerà segni profondi nella mia e nella vita di tutti.