Ognuno pregava dentro se stesso, unico culto concesso-.
Nessuna chiesa, nessuna campana che suona, solo il sentire dei fedeli che credevano nella rinascita. Anche questa era Pasqua.
Il primo pensiero era trovare abbastanza uova per tutti, cosa non scontata in un paese dove anche le gocce del latte e le galline venivano contate. Bisognava trovare uova per tutti i cari (quelli dei quali ti fidavi).
Il buon cuore delle nostre madri e delle nostre nonne, voleva condividere anche con il vicinato. Dovevano trovare e preparare le uova anche per i figli degli amici (o parenti) mussulmani, perché per quanto può sembrare assurdo, Pasqua nell’ Albania atea, era un giorno pieno – di quel poco che avevamo.
Era un giorno di gioia che doveva accadere in silenzio e di nascosto, come in silenzio e di nascosto dovevamo attaccare le foglie di rose e di prezzemolo sopra le uova bianche prima di colorarle, legandole con ritagli di calze o collant, in modo da poter mantenere intatto il guscio dell’uovo anche dopo la cottura in acqua colorata, ottenendo così disegni e forme naturali.
Naturali dovevano essere anche i colori da procurare. La natura, l’unica risorsa, l’unica sicurezza. Colori da ricavare dalle bucce di cipolle, dalle barbabietole, dalle foglie di gerani selvaggi e ortiche. Raramente si potevano trovare colori alimentari da usare per le uova, colorazione che veniva realizzata di giovedì pomeriggio.
La torta pasqualina salata, ovvero përpeç, era la base per la colazione e per il pranzo di pasqua. Le bucce colorate delle uova, dovevano essere coperte con tanti strati di carta o di giornali, e “seppellite” senza lasciare traccia …
Ricordo che mia madre colorava anche spighe di grano e fiori di paglia bianchi che raccoglievamo nei campi.