Omaggio a Umberto Eco.

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Sono passati solo pochissimi giorni dal rito funebre laico celebrato in onore di Umberto ECO.
Se n’è andato un monumento della Cultura lasciandoci eredi della sua meravigliosa produzione letteraria e non. Non sto qui a fare gli elogi di rito perché non ne sarei capace e perché, soprattutto, Umberto Eco non ne avrebbe né bisogno né piacere. Mi va solo di scrivere alcune considerazioni che riguardano il suo pensiero e che mi hanno maggiormente colpito dopo di essermi avvicinato alla sua produzione attraverso interessanti discussioni avute con una sua appassionata lettrice, amante del mondo medioevale (tant’è che mi obbligò a leggere “I pilastri della terra” di Follet”), che mi confidò di aver letto tutto d’ un fiato il romanzo “Il nome della rosa” e che arrivata all’ultima pagina ricominciò a rileggerlo dalla prima tanto lo aveva trovato bello ed interessante.
Ho riscontrato, così, in Lui un uomo di tanta e varia cultura, che si interessava di tutto perché la sua innata curiosità del sapere lo portava a studiare ogni cosa dello scibile umano: e divenne, così, inevitabilmente anche un uomo scomodo perché da uomo libero e non condizionato dai poteri forti o dalle mode politiche, diceva le cose come le sentiva e le percepiva in quel momento.
Era un uomo di sinistra, ma rimaneva intellettualmente indipendente e distante da tutti gli stereotipi di tendenza.
Chi non ricorda la polemica che ebbe sulla sessualità con il pensiero pasoliniano –così di moda oggi- e quella ancora più forte avuta con i fruitori sconsiderati degli strumenti telematici e con le trasmissioni televisive in genere ma soprattutto, quale scrittore di valore, ha preso apertamente posizione contro l’antisemitismo strisciante e sempre presente ai tempi d’oggi?
I Grandi hanno presa l’abitudine di volersi scrivere il proprio necrologio, forse per pudicizia morale o per evitare ad altri di scrivere elogi eccessivi o di circostanza.
Da ultimo lo ha fatto Montanelli –un grande nel campo giornalistico- ed oggi Eco che scrisse in un suo appunto pubblicato ora sul Sole 24 Ore: “Nato ad Alessandria, città sorta nei primi del nostro millennio, per far dispetto al Sacro Romano Impero, vivendo a Milano, gotica per arte oltre che per smog, docente a Bologna, dove i primi clerici vagantes istituirono la prima università quando ad Oxford e alla Sorbona si pascolavano ancora i cinghiali, ho iniziato la mia carriera con un libro sul Medioevo”.
Evidentemente così voleva che si sarebbe dovuto ricordare: semplicemente con sintesi e con ironia.
Con la scomparsa di Umberto Eco la cultura italiana non perde solo una delle sue voci più autorevoli, ma anche un giudice lucido e intransigente.
La sua denuncia della prepotenza degli imbecilli, della volgarità e dell’intolleranza dilaganti sui territori della demenza digitale, dell’uso distorto del web, del giornalismo servile e quindi meschino, continuerà a lungo a farci da guida.
Il suo lavoro resta un punto di riferimento per tutte le minoranze culturali e religiose che possono trovare tutela solo nei valori di una società aperta.
Queste considerazioni mi derivano da quanto letto in una sua intervista rilasciata alla vigilia della pubblicazione de “Il cimitero di Praga”, il recente romanzo che il grande semiologo ha voluto dedicare, smascherandone le trame, ai falsari dell’odio e dell’antisemitismo.
Riporto testualmente quanto disse: ”Gli ebrei sono i depositari della civiltà del libro e della cultura e anche se non sono più i tempi dei Rotschild, se molte differenze nella società contemporanea sono meno marcate, resta la loro impronta. Per questo sarebbe difficile per gli imbecilli trovare un nemico migliore. Il nemico serve a chi soffre di un’identità debole e un malinteso spirito di gruppo o un malinteso patriottismo sono spesso, l’ultimo rifugio delle canaglie”
Di recente aveva scritto, a tal proposito, un pensiero illuminante; affermava: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. E venivano messi subito a tacere mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”. Come il tutto sia assolutamente vero è dato dalla frequentazione, smisuratamente pagata, dei cosiddetti “opinionisti”, sempre presenti nei vari programmi televisivi, chiamati di “approfondimento”.
Costoro si pongono come novelli Umberto Eco ma non potrebbero essere nemmeno suoi allievi, l’avrebbero reso un pessimo maestro.
Fermare il cretinismo digitale, dunque, l’arroganza e la vigliaccheria da chi da dietro ad un computer si erge a oracolo, di chi accusa, insulta e, forse ancora più grave, mente sapendo di mentire.
Eco ha ammonito gli studenti presenti in aula, nel corso della cerimonia che gli conferiva la laurea honoris causa in “Comunicazione e cultura dei media” all’Università di Torino, di fare attenzione a “questa invasione di imbecilli da tastiera”.
“La TV”, sosteneva, “aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet, di Facebook, di WhatsApp e similari è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”.
Questa l’amara considerazione di Umberto Eco: considerazione così tristemente presente nell’attualità del momento.
All’autorevole semiologo, al grande romanziere, al Professore che è stato un illuminante voce nella denuncia delle distorsioni della verità che proliferano sulla rete, di quella propaganda faziosa che propina “bufale e riletture storiche fantasiose”, a Lui vada l’omaggio più sincero e deferente di chi lo ha apprezzato e lo ha capito.

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