di Giuseppe Moesch*
La fatica dei materiali, in particolare quelli metallici, è ben nota agli ingegneri ed in genere è prodromica alla rottura e spesso alla genesi di disastri anche imponenti, e non sono solo i metalli ad esserne influenzati ma anche i polimeri e la ceramica.
Anche I singoli individui possono esserne affetti ad esempio, in casi di esaurimento nervoso, o quando la percezione della situazione incombente è tale da apparirci insostenibile. Lo racconta Eduardo De Filippo nel suo “Vincenzo de Pretore”, che ferito a morte comprende la gravità della situazione e lo esprime con la frase “se sentette ‘ncuolle tutta a fatica ro campà”
Oggi la fatica di vivere la si ritrova addirittura negli adolescenti delle società opulente per mancanza di valori, di speranze e di obiettivi materiali e principalmente ideali.
Anche le società subiscono gli stessi effetti e periodicamente collassano
Il fenomeno non è certo di oggi: la storia è costellata di imperi crollati in un soffio e sostituiti da nuovi dominanti, consapevoli dell’evolversi o meglio dell’involversi di situazioni attribuibili a cause diverse, ma in buona sostanza riconducibili alla perdita di coesione interna.
Una soluzione possibile per quanto riguarda i materiali è quella dell’intervento più o meno programmato di manutenzione e sostituzione dei pezzi logorati, ma spesso si ritiene più semplice e comodo intervenire drasticamente e sostituire l’intero impianto.
È stato assai più frequente il caso di uomini che abbiano deciso in questo senso anche in tempi assai recenti, per affrontare con soluzioni drastiche i problemi di una nazione e di un popolo.
Dopo la sconfitta della Prima Guerra Mondiale ed il crollo dell’Impero Germanico, Hitler avviò una serie di interventi tesi a rinnovare i valori base del popolo teutonico, compresa l’invenzione di un nemico che aveva portato allo sfacelo dell’Impero, individuato negli ebrei, da eliminare come specie, operazione che portò alla sistematica eliminazione di oltre sei milioni di uomini, donne, vecchi e bambini, a cui si aggiunsero gli altri esseri ritenuti inferiori quali zingari, omosessuali, deformi et similia.
Basti pensare al problema di far uscire dal medioevo la Russia nel 1917, o la Cina nel 1949. In Russia lo Zar Nicola II aveva avviato timidamente alcune azioni per modernizzare il Paese ma ci volle l’intervento deciso di Stalin per poter avviare l’industrializzazione forzata della Nazione.
Il problema fu affrontato convogliando tutte le risorse disponibili nel settore industriale sottraendole all’agricoltura, attraverso la collettivizzazione e la dekulakizzazione, ovvero l’eliminazione della proprietà privata e la gestione collettiva della terra e l’estinzione degli uomini che la gestivano, ovvero i kulaki (1).
Ci fu ovviamente una feroce resistenza alla confisca delle terre ed alla acquisizione forzata del grano, da parte dello Stato, con la conseguenza riduzione della produzione che sfociò bella carestia dei primi anni ’30, in particolare nelle zone a naturale vocazione cerealicola, come l’Ucraina.
Gli stessi contadini uccisero molta parte degli animali, oltre il 50%, piuttosto che vederli requisiti dal governo, e bruciarono le proprietà; i morti in Unione Sovietica furono molti milioni di cui da tre a sei milioni nella sola Ucraina.
Questa strage che si svolse in soli due anni fu denominata Holodomor: è questo il nome con il quale si designa il genocidio per fame di oltre 6 milioni di persone, perpetrato dal regime sovietico, a danno della popolazione ucraina negli anni 1932 – 1933. Se si aggiungono a questi i morti nei Gulag, stimati in una forchetta tra i 2,3 e i 17,6 milioni di uomini, possiamo incominciare a analizzare alcuni concetti che oggi possono apparire incomprensibili.
L’avvocato e giurista Raphael Lemkin, nato in una cittadina polacca diventata poi russa ed oggi bielorussa, da una famiglia ebrea, coniò per primo il termine genocidio nel 1944. Aveva iniziato a studiare la strage degli armeni per poi approfondire quella sovietica degli ucraini e quindi quella degli ebrei per mano di Hitler.
Nella dichiarazione approvata dall’ONU, sono state individuate le condizioni per meritare il titolo di GENOCIDA (2).
Basta affacciarsi alla finestra di casa per accorgersi che in giro ci sono non poche situazioni che possono agevolmente rientrare nelle fattispecie elencate.
Non credo che molti giovani abbiano oggi in mente chi sia stato Pol Pot.
Negli anni ’60, studente in Francia, paese che allora svolgeva la funzione di protettorato dell’Indocina, profondamente segnato dagli insegnamenti marxisti e dalla figura di Jean Paul Sartre, dedusse che l’unico modo per estirpare i mali endemici dal suo paese, la Cambogia, fosse necessario ricominciare da zero.
Nel paese era ancora vigente un sistema monarchico ereditario, peraltro ancora oggi in vita sotto forma di monarchia costituzionale; dopo la rivoluzione, nel 1976 divenne Primo Ministro e avviò grandi riforme, quello che chiamò, ispirandosi a Mao Zedong, “Super grande balzo in avanti”, ritenendo che l’unica via al comunismo fosse ripartire da zero. I khmer rossi guidati da Pol Pot hanno fatto quasi due milioni di morti su un totale di meno di 7 milioni di abitanti. Bastava portare gli occhiali per essere considerato un intellettuale e condannato a morte.
Credo sia inutile continuare con esempi che conosciamo facendo finta che non esistano: Morandi, Ruggeri e Tozzi, cantarono a Sanremo nel 1987 una canzone che diceva tra l’altro: “Perché la guerra, la carestianon sono scene viste in TV”, ma in realtà è solo la più beceresca propaganda politica che ce lo ricorda con fasulle manifestazioni di piazza, prima di cena, per metterci l’animo in pace trascurando ogni azione per evitare di giungere a quelle conseguenze.
È solo il caso di citare le mobilitazioni che il mondo intero sta vivendo su sollecitazione di una adolescente abbastanza ignorante, nel senso che non sa, ovvero non conosce, punta emergente di un gruppo di coetanei altrettanto ignoranti, pilotati da formidabili interessi economico sociali, che si esprimono in diversi modi ma tutti con la presenza degli stessi attori.
Finalmente i geologi hanno fatto sentire la propria voce per far sapere che i pochi dati di cronaca recente, ovvero le osservazioni meteorologiche dell’ultimo secolo o poco più, sono smentite dai dati di lungo periodo che appunto la geologia può fornire, che ci dimostrano come quei fenomeni siano ricorrenti: ci creano disagio, provocano danni, ma sono nel divenire dell’evoluzione e non semplicemente il frutto della nostra intemperanza.
Questo non vuol dire non prendere atto di quanto accade e di fare qualcosa per arginare i problemi. Ma credo che un proverbio veneto esprima con chiarezza quanto sopra: “Xe peso el tacón del buso” ovvero la toppa che stiamo inserendo risulta peggiore del buco che cerchiamo di nascondere.
La sigla C40 Agenda per lo sviluppo sostenibile riunisce fino ad oggi 199 sindaci delle principali città del mondo, che in enunciato si dicono particolarmente sensibili al benessere dei propri cittadini. Nel consiglio direttivo c’è anche Giuseppe Sala sindaco di Milano e tra glia altri partecipa anche il sindaco di Roma, e quello di Venezia.
Come nel caso di Pol Pot,i principi ispiratori potrebbero essere considerati positivamente, ma forse anche in questo caso il problema del “Tacon”, rimane.
I nostri eroi, finanziati tra l’altro dai soliti noti, Soros, Clinton con la sua fondazione ed altri, vogliono ridurci le possibilità di mobilità, riduzione del sedime stradale, niente più auto nuove, drastica riduzione nel consumo di carne e di latticini, di abiti nuovi (solo otto capi all’anno dalle calze agli slip ed ai jeans o alle cravatte), insomma, un felice ritorno al periodo della condizione di indigenza tipica dei dopoguerra.
Non siamo ai campi di rieducazione di Pol Pot, ma solo perché saremo agli arresti domiciliari se dovessimo seguire anche le indicazioni dell’altro progetto targato Carlos Monteiro, urbanista che ha rispolverato una vecchia idea, condivisa tra gli altri dal sindaco di Roma, per cui gli spostamenti potranno avvenire solo nello spazio di quindici minuti.
Nessuno prova ad affrontare le cause della situazione nella quale viviamo ma tutti sono pronti a fornire soluzioni più o meno fantasiose e dirigistiche, ignorando i diritti basilari della società.
Cercare di arginare i danni potrà essere di conforto ai sopravvissuti ma non risolverà i problemi.
Andare alle cause è drammatico perché si scoprirebbero i veri colpevoli del disastro che sono esclusivamente da addebitare a demagogiche scelte politiche tese a mantenere strettamente il potere.
Roma, 27 luglio 2023
* Già docente ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
Note
1 Nicolas Werth, studioso del regime sovietico scrisse che fosse sufficiente “l’utilizzo di un operaio agricolo per una parte dell’anno, il possesso di macchine agricole un po’ più perfezionate del semplice aratro, di due cavalli e quattro mucche” per essere definito kulak Citato in “La città dell’uomo, il Novecento tra conflitti e trasformazioni – Marco Fossati, Giorgio Luppi, Emilio Zanette” pag. 145.
2 Ciascuno dei seguenti atti effettuato con l’intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale:
(a) Uccidere membri del gruppo;
(b) Causare seri danni fisici o mentali a membri del gruppo;
(c) Sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
(d) Imporre misure tese a prevenire le nascite all’interno del gruppo;
(e) Trasferire forzatamente bambini del gruppo in un altro gruppo.
Autore della foto sconosciuto – Store norske leksikon, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=110938330
In foto Pol Pot (ប៉ុល ពត; in lingua khmer), pseudonimo di Saloth Sâr (សាឡុត ស; Prek Sbauv, 19 maggio 1925 – Anlong Veng, 15 aprile 1998)