–di Michele Bartolo-
Gli episodi recenti di Roma, relativi alla manifestazione contro il green pass ed alla sua parziale degenerazione in atti di teppismo e violenza, hanno fatto tornare di prepotente attualità la tematica della protesta contro la rigidezza delle disposizioni governative per contrastare la pandemia sanitaria da Covid 19.
Come tutti ricorderanno, quando il Presidente Conte, nel marzo 2020, annunciò che l’ Italia dall’indomani sarebbe stata in zona rossa e quindi l’istituzione del cosiddetto lockdown nazionale, già vi furono numerose polemiche in ordine ad una legislazione di tipo emergenziale, via via implementata a colpi di DPCM, determinando di fatto un intervento diretto del potere esecutivo, orientato ad una forte compressione di diritti e libertà costituzionalmente garantite.
In quella fase, tuttavia, le voci di dissenso vennero facilmente superate, in quanto vi era un ampio consenso sociale alle regole restrittive, sia perché uniformi su tutto il territorio nazionale, sia perché espressione di un senso di sgomento generalizzato, sia perché tese, nell’immaginario collettivo, al superamento della pandemia, una volta determinatosi l’abbassamento dell’indice di contagio.
Terminato il lockdown, però, abbiamo scoperto che il virus è rimasto con noi e che le restrizioni o comunque le limitazioni alla nostra libertà sarebbero state una costante anche per i mesi a venire. Tale stato di cose ha di fatto dato voce ad una protesta crescente, peraltro alimentata dal proliferare di provvedimenti governativi, regionali e comunali, spesso contrastanti tra loro, espressione di voci discordanti non solo dei politici di turno, ma anche degli stessi scienziati e medici, che invece avrebbero dovuto avere una visione univoca e costituire un punto di riferimento per la popolazione.
Logica conseguenza è stato il sorgere di movimenti, a volte spontanei, a volte sponsorizzati da partiti o associazioni, inneggianti alle riaperture di settori messi in ginocchio dalla chiusure prolungate. In questo quadro, l’avvio e la successiva intensificazione della campagna vaccinale ha creato le condizioni per la fuoriuscita da questa situazione di stallo o, meglio, il freno ad una politica emergenziale fondata solo su un sistema di chiusure ed aperture ad intermittenza, nella prospettiva di una ripresa sempre precaria e fragile per l’economia, per il lavoro e per la vita delle nostre famiglie.
Intendiamoci, l’approccio al tema dell’obbligatorietà o meno del vaccino e della conseguente giustezza o meno dell’estensione del cosiddetto green pass anche al mondo del lavoro, come stabilito nell’ultimo decreto governativo a far data dal 15 ottobre 2021, può essere compiuto da un punto di vista scientifico e da un punto di vista giuridico.
Premetto di non avere alcuna competenza per addentrarmi nel dibattito scientifico in merito al tema, mi limito ad osservare, tuttavia, che faccio parte di una generazione che se ha problemi di salute si affida ancora ai consigli del medico e del farmacista, evitando di fondare le proprie convinzioni all’esito di una ricerca su internet o, peggio ancora, discettando di presunti interessi, complotti e dietrologie varie di cui non vi è alcuna evidenza probatoria.
Un cittadino rispettoso dello Stato di diritto, anche nel 2021, si affida alle leggi dello Stato ed alle autorità sanitarie e di controllo esistenti a livello nazionale, europeo e mondiale. D’altronde, sempre da profano, osservo che, da quando la vaccinazione si è diffusa, in misura direttamente proporzionale sono state eliminate tutte le restrizioni, la paura è scomparsa, la speranza nel futuro è aumentata e di fatto, dal 26 aprile 2021 in poi, tutta l’Italia è tornata in zona bianca e ad una normalità precovid sempre più generalizzata.
Anche in questa fase, tuttavia, la corrente negazionista e complottista ha dato voce ai casi rari di reazioni avverse al vaccino, ai presunti ricoveri di persone vaccinate, all’ ipotesi di un virus che, d’incanto, era diventato più facile da controllare ed endemico, perciò meno aggressivo. Qualsiasi argomento, quindi, pur di non riconoscere l’efficacia della campagna vaccinale che, senza alcun dubbio, ha avuto il merito di prevenire l’infezione su larga scala, ridurre od eliminare le forme gravi ed il rischio morte e, in ultima analisi, mitigare la stessa contagiosità della malattia.
E questo si ricava dai numeri giornalieri, sia dei morti che dei ricoveri, nonostante la integrale riapertura di tutte le attività e la piena socializzazione ormai da sei mesi.
Secondo i negazionisti tutto è un caso, è determinato appunto dalla perdita improvvisa di potenza del virus, da marzo ad aprile, senza peraltro considerare che, contestualmente, si è diffusa in India e poi in Inghilterra la temuta variante Delta, che ha provocato numerosi ricoveri e morti in quei Paesi, salvo poi, quando è divenuta prevalente in Italia sin dalla fine di luglio 2021, essere arginata proprio dalla massiccia campagna vaccinale effettuata e dalle regole ancora rigide in tema di mascherine, distanziamento e uso del green pass. Veniamo, allora, all’aspetto giuridico del problema.
E’ legittimo e costituzionalmente ammissibile un obbligo vaccinale generalizzato, anche nella forma mascherata di una estensione del green pass o tale ipotesi comprime in modo pregiudizievole diritti e libertà inviolabili dell’individuo, primo tra tutti la libertà di non vaccinarsi?
Sempre da un punto di vista meramente empirico, se io vado su un aereo, un treno o un ristorante al chiuso sapendo che tutti i passeggeri e gli avventori, oltre che tutto il personale in servizio, è vaccinato o comunque munito del green pass, non solo sono più sereno e tranquillo ma ci vado anche più spesso e con piacere.
Ma, dal punto di vista giuridico, è giusto e legittimo legiferare su questi temi o ha ragione la parte pacifica di cittadini che ha partecipato alla manifestazione di protesta a Roma, con le mani alzate ed al grido di libertà?
E’ giusto evidenziare, allora, che la Costituzione italiana dispone che possano essere introdotti trattamenti sanitari obbligatori, ponendo un solo limite: quello di farlo per legge. Inoltre, la Costituzione stabilisce che la Repubblica tutela la salute, aggiungendo che lo fa sia per tutelare un diritto dell’individuo, sia per assicurare un interesse della collettività.
Rispetto all’obbligo vaccinale in senso stretto, da un punto di vista meramente storico, obblighi vaccinali sono stati disposti nel 1939, nel 1963, nel 1966, nel 1991 e nel 2017 e le persone in età pediatrica, da zero a sedici anni, sono già soggette ad un obbligo vaccinale, che riguarda ben dieci vaccinazioni.
Infine, malattie una volta epidemiche, come la poliomelite e il morbillo, sono state quasi completamente sradicate proprio dopo la diffusione del vaccino. Tuttavia, tornando al tema che divide, non stiamo ancora parlando di un obbligo vaccinale, ma di un sistema per implementare le vaccinazioni, nell’ottica di proporzionalità richiesta dalla Costituzione. Il cosiddetto green pass, infatti, non comporta un obbligo generalizzato ma, come è stato osservato, costituisce un requisito o una idoneità.
Così come si richiede la patente per poter guidare un’automobile, in un luogo pubblico o aperto al pubblico si richiede una vaccinazione e la relativa certificazione per poter frequentare cinema, discoteche, ristoranti, scuole. Indubbiamente, con la estensione del green pass anche a tutto il mondo del lavoro ed a tutti i lavoratori, l’obbligatorietà di tale requisito si intensifica, ma compito del governo è seguire un criterio progressivo, estendere via via l’obbligo di una certificazione che garantisca quell’interesse della collettività di cui parla la Costituzione, solo come rimedio ultimo un obbligo vaccinale generalizzato per tutti.
Il green pass, attuale, infatti, è una certificazione rilasciata anche ai non vaccinati, ovvero a coloro che siano guariti dal covid, ovvero abbiano effettuato un tampone antigenico o un tampone molecolare in epoca recente.
Numerose pronunce dei Tribunali Amministrativi hanno sancito che l’interesse a prevenire la malattia è pubblicistico, anche sotto il profilo di limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale, circa l’occupazione delle terapie intensive e dei ricoveri. In buona sostanza, la primaria rilevanza del bene giuridico protetto, ovvero la salute collettiva, giustifica la compressione e limitazione di altri diritti costituzionalmente garantiti che, nel bilanciamento degli interessi, scendono di un gradino, come, per esempio, il diritto al lavoro da parte del singolo. Hanno ragione allora coloro che manifestano a difesa della libertà?
Intanto hanno la libertà di manifestare, che già è tanto, in quanto, a parere di chi scrive, aveva ragione sir Terry Pratchett quando diceva che “ l’intelligenza di una folla di persone è uguale all’intelligenza del più stupido dei presenti, divisa per il totale dei presenti”.
In secondo luogo, libertà non significa fare ciò che si vuole, in quanto la libertà di ciascun individuo finisce dove comincia quella degli altri. Ogni libertà individuale, infatti, trova un limite nell’adempimento dei doveri solidaristici, imposti a ciascuno per il bene della comunità cui appartiene (art. 2 della Costituzione).