-di Denata Ndreca-
La guerra, nella città di Michelangelo e del Ponte Vecchio amata dagli Statunitensi e dai Tedeschi, con la sua più terribile violenza arrivò tardi. Nessuno s’aspettava che qualcuno avesse il coraggio di sganciarle sopra le bombe, al punto che quando i bombardieri americani passavano sulla città, i fiorentini alzando le spalle dicevano “tanto vanno a Pontassieve…” fino a quando quella terribile notte tra il 3 e 4 agosto 1944, l’esercito tedesco in ritirata tentò di rallentare l’avanzata degli alleati distruggendo dietro di sé le vie di comunicazione, compresi i ponti di Firenze.
In quella notte d’estate, i fiorentini d’oltrarno sfollarono dalle loro case distrutte rifugiandosi a Palazzo Pitti e a Boboli. Vennero allestiti letti e pasti di fortuna, e gli sventurati trovarono temporaneo conforto tra le mura austere e poderose del Palazzo, che nel frattempo aveva aperto le porte per tutti i senza tetto.
Per Firenze e la sua gente, questo fu forse il momento più doloroso ed emblematico della Guerra perché dovettero assistere impotenti alla distruzione dei ponti della città e dei quartieri medievali vicino a Ponte Vecchio – in particolare via Por Santa Maria, delle torri antiche e delle botteghe.
La loro città, veniva colpita al cuore; quartieri rasati al suolo.
Venne minato il ponte di Santa Trinita, ideato da Michelangelo e poi realizzato da Bartolomeo Ammannati per ordine di Cosimo I de’ Medici cancellandone in una serie di esplosioni la straordinaria armonia architettonica: fu un’azione simbolicamente criminale che riuscì nell’intento di deprimere la popolazione, creando sgomento e aprendo una ferita indelebile.
Ma chi salvò Ponte Vecchio?
“Firenze, Corridoio Vasariano, notte tra il 3 ed il 4 agosto 1944”-scrive Gianluca Parodi- su Ful Magazine-in una magistrale ricostruzione. “Un uomo passeggia nervosamente osserva
l’Arno che scorre sotto le immense finestre di un capolavoro che mette in comunicazione il cuore ed il cervello della città. Indossa un’uniforme inconfondibile, una fascia rossa intorno al braccio, su di essa, il terribile simbolo di morte: la svastica.
Ben pettinato, i baffi curati, il passo fiero e pesante, cammina lungo il corridoio più famoso del mondo, osserva i ritratti che tappezzano le pareti, intanto pensa, studia, riflette, si consulta con i propri generali: Adolf Hitler sta progettando la distruzione di Firenze…
Gli ingegneri tedeschi avevano già abbattuto tutti i ponti della città, la temibile Ottava Armata Britannica avanzava per porre fine alla follia del Fuhrer; le truppe naziste cercano di arroccarsi in una parte del centro di Firenze, fracassando ogni via di comunicazione che poteva condurre ad uno scontro diretto.Riunendo i propri uomini, Hitler decide di risparmiare il ponte sottostante al Corridoio Vasariano, una via di comunicazione ritenuta inutile, ai fini dello scontro.Il famoso ponte dei gioiellieri, antico scenario degli storici macelli, è un diamante nel cuore di Firenze.E qui la leggenda e la storia si mescolano, s’intrecciano, si scontrano; il fatto è che il perfido condottiero della Germania, noto appassionato d’arte, decide di non distruggere Ponte Vecchio”
Tornando un attimo indietro, tuffandoci ancora nel passato, proviamo a capire ciò che successe veramente, secondo chi non crede alla leggenda della grazia hitleriana.
Il Burgassi, detto il ‘Burgasso’, era una sorta di custode delle gioiellerie, i titolari delle botteghe si fidavano a tal punto di lui da lasciargli le chiavi delle attività, perché controllasse la via durante le ore notturne, con il compito anche di aprire e chiudere i laboratori degli orafi, spostando le pesanti vetrine poste all’esterno. I nazisti questo non lo sapevano, consideravano il Burgasso solo un vecchio delirante, non potevano immaginare minimamente, che sarebbe stato lui a decidere le sorti dello scontro con gli alleati.
È notte fonda quando il claudicante Burgasso si aggira nei dintorni di Ponte Vecchio, ormai i tedeschi non ci fanno più caso, ma lui sa tutto, ha visto tutto, conosce ogni punto preciso in cui si trovano gli allacciamenti delle mine.Quella notte toccava proprio al passaggio più famoso di Firenze, i barbari nazisti non avevano avuto pietà nemmeno per questo capolavoro, pensava il Burgassi, non si erano fermati neppure di fronte all’onnipotenza dell’arte. Il rumore dei passi del Burgasso ci conduce in via dè Ramaglianti, dietro Borgo San Jacopo, i suoi occhi scintillano di fronte ai fili delle mine, s’illuminano: quello strano ed insospettabile uomo, è consapevole che sta per salvare il suo tesoro, sta per ripagare tutta la fiducia che i commercianti avevano riposto in lui, sta per salvare la sua cara città da uno squarcio irreparabile”