L’Estate di San Martino

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di Giuseppe Moesch

Come è noto le oche sacre a Giunone salvarono Roma nel 390 a.c., starnazzando sul Campidoglio, svegliando la guarnigione e permettendo al Console Marco Manlio Capitolino, aiutato dal sopraggiunto Marco Furio Camillo, che era stato esiliato a Veio, di affrontare i Galli guidati da Brenno.

Non è tuttavia altrettanto noto che quei palmipedi, sempre secondo le leggende popolari, fecero ritrovare il luogo dove il frate Martino che era nato nel 317 d.c., acclamato Vescovo di Tours, si era ritirato per non accettare l’incarico.

La santità dell’uomo si era manifestata quando, sempre secondo le leggende, in una notte di tempesta di neve di novembre vide un povero semi ignudo che tremava per il freddo a tre giorni e mezzo di cammino dalla sua casa ed al quale offrì, tagliandolo in due con la spada, parte del suo mantello. Per evento soprannaturale, d’improvviso la neve scomparve ed un tiepido sole apparve a riscaldare tutti.

Dopo una notte trascorsa in una locanda si ritrovò nuovamente nelle stesse fredde e nevose condizioni del giorno precedente e nuovamente incontrò un povero ignudo al quale donò la parte restante del suo mantello. Di nuovo si verificarono le stesse mutazioni climatiche che terminarono quando raggiunse un’altra locanda.

Passò ancora una notte e la mattina dopo si rimise in viaggio nella neve ma poco dopo incontrò un terzo povero al quale, avendo terminato i pezzi di mantello cedette la sua veste e di nuovo si ritrovò a sperimentare la stessa esperienza di neve trasformata in tiepida giornata, fino a raggiungere di nuovo un asilo per la notte.

Al mattino del quarto giorno lo stesso impietoso, il futuro santo incontrò un altro povero e in questo caso dovette cedere la sottile veste che ancora possedeva per poi raggiungere dopo mezza giornata di cammino la propria casa, con il tempo nuovamente mite. Giunto qui ebbe l’apparizione divina di Gesù che indossava il suo mantello, la sua veste e la sua camicia, segno che in realtà questi indumenti erano stati offerti a Lui in dono rispondendo in tal modo, al dettato evangelico: “Coprirete gli ignudi”.

Questo periodo di tre giorni e mezzo di bel tempo ad inizio novembre va sotto il nome di “Estate di San Martino, e a partire proprio da quell’11 novembre, giorno successivo alla sepoltura del Santo, sono di fatto una condizione ripetuta nell’emisfero boreale. Questa anomala condizione metereologica è probabilmente causata da un rafforzamento dell’anticiclone atlantico che va dalla Spagna a tutta l’Europa. L’evento nei paesi di lingua inglese è conosciuto come Indian Summer,  in Russia come “Bab’e Leto”, ovvero “estate delle nonne” mentre lo stesso fenomeno si manifesta tra i mesi di aprile e maggio nell’altra parte del mondo, nell’emisfero australe.

L’ex soldato Martino, così chiamato dal padre in onore di Marte dio della Guerra, era pagano successivamente convertitosi al cristianesimo, divenuto monaco, poi vescovo e fondatore del primo monastero d’Europa, viene ricordato per la sua generosità. Le oche osannate nella storia di Roma sono invece immortalate solamente come piatto particolarmente apprezzato per festeggiare la festa di questo Santo: incongruenza della memoria umana.

Nelle tradizioni celtiche l’inizio dell’anno coincideva con la data del trentuno ottobre, con la festa di Samhain che apriva un periodo di dodici giorni di bagordi; durante i quali si consumava il vino vecchio ed alla fine del periodo si spillava il vino nuovo. Era anche periodo di fiere e di grandi riunioni per vendere i capi di bestiame, in particolare bestie bianche, cioè bovini o altri ungulati dotati di più o meno importanti estremità o palchi degni di essere esposti come trofei di grandi dimensioni. Tutti quegli animali venivano raccolti nelle piazze e nei fori boari, oltre naturalmente a pecore, capre, volatili e tra questi anche le immancabili oche. Proprio da queste riunioni si genera forse una nuova ricorrenza, che viene ancora oggi festeggiata in Francia ed in Italia, ovvero la festa dei “cornuti.”

È cosa nota che le corna erano anticamente simbolo di fecondità e di abbondanza per la tradizione greco-romana, non a caso c’è un detto napoletano che sostiene “’e corna songhe ‘a ricchezza ‘ra casa” mentre per quella cristiana simbolo di potere e di regalità, ma allora perché associarla a quella della ricorrenza di San Martino?

Molte sono le storie che legano questa festa a quella del Santo di Tours, che si festeggia l’undici di novembre, coincidente quindi, come si è detto, con la data della fine del periodo di festeggiamenti per l’inizio del nuovo anno. Ci ritroveremmo quindi di fronte ad una delle solite sovrapposizioni tra le date di antiche festività pagane da soppiantare con altrettante feste cristiane. La fine del periodo di Samhain è quindi il primo riferimento per ricordare  tutti quegli animali cornuti raccolti in quel giorno.

Più complesso è comprendere perché questa ricorrenza viene associata, con la consegna di troferi,  ai ” coniugi cornuti”.

Una consolidata leggenda fa riferimento direttamente alla storia del Santo che si dice avesse una sorella più piccola che rappresentava per lo stesso un problema assai grave. Secondo questa diceria la fanciulla in questione appariva, per i costumi dell’epoca, un po’ troppo vivace e si dice che non perdesse occasione per lasciarsi andare con chi le capitava a tiro tanto che, per evitare imbarazzanti situazioni, il fratello la tenesse sempre con sé quando si spostava facendola montare a cavallo con lui.

Il Sant’uomo si rese conto della cosa quando si accorse che, con l’andar dei mesi, la ragazza diventava sempre più pesante e la gente iniziò ad associare al suo nome lo status di cornuto da sorella.

Un’ ulteriore derivazione è quella relativa sempre all’eccesso di libagioni che, durante l’ultimo giorno si consumavano nei villaggi: i mariti si recavano in piazza a  festeggiare lasciando a casa le mogli che  diventavano facili prede di avventurieri. Gli uomini apparivano tra la folla di sventurati compagni, circondati da mandrie di animali cornuti, apparendo essi stessi proprietari di quegli ornamenti.

Una ulteriore ipotesi è quella che deriva dalla definizione francese di cornuto che si dice bec.  Vista la presenza di un gran numero di capre si dice che le femmine abbiano una forte tendenza a cambiar partner maschile, e quindi essere portatori di corna sarebbe la conseguenza estesa al genere umano.

Quali che siano le origini popolari, quello che è rimasto nelle tradizioni è una festa che si ripropone annualmente con processioni di maschi portanti grandi pertiche sormontate da palchi di cervi o grandi corna di bovini, come accade a San Valentino in provincia di Pescara. Qui viene attribuito al primo sposato dell’anno l’onore di essere il capo dei cornuti, facendolo scendere in strada a sfilare tenendo tra le mani un gran simbolo fallico coperto da un velo, che di tanto in tanto viene scoperto e mostrato alla folla festante.

Molte altre località, oltre cento in Italia, sono caratterizzate da queste tradizioni tra le quali Ruviano in provincia di Caserta, Rionero Sannita in Molise, Fara San Martino in provincia di Chieti, Nepi in provincia di Viterbo dove gli uomini sfilano bardati di corna a scopo apotropaico, Roccagorga in provincia di Latina dove si prepara una zuppa detta rappacornuti, che si mantiene a lungo calda, permettendo in tal modo alle donne di disporre di tempi di libertà dalle incombenze casalinghe.

A Grottammare, in provincia di Ascoli Piceno, la tradizione vuole che si festeggi il fatto che i contadini vendano al mercato beni sottratti ai loro padroni rendendoli cornuti. A Pescasseroli, in provincia dell’ L’Aquila,  la solita sfilata si ferma davanti alle case degli uomini considerati affetti dal peso delle corna sottolineando la sosta con schiamazzi e insulti, come  Putignano in Puglia  durante il Carnevale.

A Sant’Angelo di Romagna durante la giornata dell’11 novembre accorrevano cantastorie provenienti da diverse località, raccontando storie di adultèri e dove i cittadini passando sotto un arco al quale sono appesi corna di buoi in piazza Ganganelli, indicherebbero, il loro status di cornuti qualora il vento avesse agitato le corna sospese.

Vi sono molti altri luoghi dove si festeggia la ricorrenza  ed in ognuno di questi si coglie l’occasione per fare musica,  consumare piatti tipici regionali autunnali, sempre annaffiati da grandi quantità di vino novello.

La festa ha generato anche alcuni detti proverbiali, così: in Romagna ad esempio si dice “Per San Marten volta e zira, tot i bech i va a la fira mentre i romani affermano che: “Chi cià moje, ti’ pe’ casa San Martino”.

Sulla scia di queste tradizioni ricordo ancora una canzone scritta nel 1961 da Amilcare Pistone e cantata tra gli altri da Umberto Messina accompagnato dal Complesso Simonati, il cui titolo era “I cornuti” che ebbe all’epoca un discreto successo.

 

 

*Professore ordinario presso l’università degli Studi di Salerno

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